Guerre alle porte d’Europa. Diplomazie in disordine. Punti di riferimento che ci vengono a mancare. Siamo onesti: quante volte anche noi, come i discepoli di Emmaus, abbiamo avuto la tentazione di pensare che sia davvero tutto finito? Che Dio abbia abbandonato la scena. Che quel silenzio, dentro e fuori di noi, sia il segno che tutto è perduto. Ma… se invece fosse proprio lì, in quel silenzio, che Dio ci sta parlando più forte che mai?
Il mio (in)solito commento a:
Riconobbero Gesù nello spezzare il pane (Lc 24,13-35)
C’era buio. Un buio che faceva paura. Il sole si era nascosto, il tempio si era squarciato, e Lui… aveva consegnato il suo spirito. Finita. Tutto davvero finito. Così almeno sembrava.
Il centurione ci credeva. Le donne, quelle coraggiose che non si erano mosse, ci credevano. Anche le folle, andandosene con il cuore spaccato in due, ci credevano: “È tutto finito”. E tra le pieghe di quel tramonto amaro, anche i discepoli si disperdevano. Qualcuno tornava a pescare. Qualcun altro, semplicemente, tornava a casa. Come se nulla fosse successo. Come se Lui non fosse mai esistito.
Ed eccoci lì. Sulla strada di Emmaus. Due uomini in cammino, due cuori affranti, due sguardi bassi che parlano più di mille parole. Uno lo conosciamo: si chiama Cleopa. Forse lo zio di Gesù. L’altro? Nessuno ce lo dice. Ma io sono convinto che un nome ce l’abbia eccome: Simone. Non Pietro, che è da un’altra parte, ma Simeone, figlio di Cleopa. Il cugino. Insomma: due parenti stretti di Gesù. Eppure… non lo riconoscono.
Strano, vero? Ma non troppo. Perché quando il dolore ti appanna il cuore, anche il volto più familiare ti sembra quello di un estraneo.
Prova a camminare anche tu con loro. Dai, vieni con me su quella strada. Il sentiero è largo, la terra scricchiola sotto i piedi, la polvere ci incolla la tristezza addosso. Il sole ci cuoce la pelle e dentro ci ribolle il senso di vuoto. Stiamo tornando a casa, amareggiati. Avevamo creduto in qualcosa di grande. E invece…
Poi, lungo il cammino, quel viandante. Ti suona familiare? Sì, anche a me. Ha uno sguardo profondo e parole che toccano l’anima. Parla di Mosè, dei profeti, della Scrittura… e di colpo tutto prende senso. Ogni pezzo del puzzle si incastra. Ma com’è possibile?
Quando stiamo per lasciarlo andare, ci scappa un invito: «Resta con noi, perché si fa sera…». E Lui resta. Spezza il pane. E in un attimo… tutto cambia. Lo riconosciamo! Era Lui. Era sempre stato Lui. E noi, ciechi. O forse solo troppo delusi per vedere.
Ecco il punto: anche nella nostra vita ci sono giorni in cui ci sembra che il sogno sia finito. Che il buio abbia vinto. Ma proprio lì, in quel momento, se alziamo lo sguardo, scopriamo che non siamo soli. Lui è con noi. Cammina accanto. E se glielo chiediamo, resta.
Allora sì, diciamoglielo anche noi: Resta con noi, Signore. Perché si fa sera. Perché le nostre speranze hanno bisogno di luce. Perché, alla sera della nostra vita, senza di Te ci sentiamo persi.
Amico mio, amica mia, non camminiamo da soli. Il Dio-con-noi non ci lascia mai. È qui, oggi. In mezzo alle nostre fatiche, ai nostri dubbi, ai nostri “non ce la faccio più”. È qui… e ci spezza il Pane.
Basta riconoscerlo. Basta lasciarLo entrare.
#Santanotte
Alessandro Ginotta
Brigham Young University Museum of Art
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