Un Dio che, a pensarci bene, non potremmo nemmeno immaginare… si fa vicino. Si abbassa fino a me, fino a te. Non per curiosità, non per osservare da lontano, ma per incontrarci davvero. Prende carne, prende volto, prende voce. E lo fa per non spaventarci, perché sa che il mistero – quello vero – può far tremare le gambe. Perché sa che, se ci si presentasse così com’è, puro Spirito, rischieremmo di non ascoltarlo, presi dal timore. Allora si fa uomo. Si fa Bambino. Nasce in una stalla. Per me. Per te. Per accorciare le distanze tra il cielo e la terra. Per entrare in relazione. Per amarci davvero.
È questo il mio in(solito) commento a: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno» (Luca 24,35-48)
Quante volte, nei Vangeli, Gesù Risorto si presenta ai suoi… e non viene riconosciuto. È successo anche quel giorno, quando i due discepoli, tornati da Emmaus, raccontavano con il cuore in gola l’incontro avuto lungo la via. E proprio mentre parlavano, Lui appare. Così, all’improvviso. «Pace a voi!» dice. Ma loro? Spaventati. Sconvolti. Lo prendono per un fantasma. E Lui, paziente come solo l’Amore sa essere, li rassicura: “Guardate, sono io. Toccatemi. Un fantasma non ha carne e ossa”.
Eppure… non riescono a crederci. Troppa gioia, troppo stupore. È come se il cuore volesse crederci, ma la mente ancora no. Allora Gesù prova un’altra strada: “Avete qualcosa da mangiare?”. E mangia davanti a loro. Per dire: sono reale, sono qui, sono con voi. È tenero, vero? Questo Dio che si abbassa a combattere con la nostra incredulità. Che si mette alla nostra portata, pur di farsi riconoscere.
Ma perché, allora, non venne riconosciuto subito?
Forse perché il suo corpo era lo stesso… ma diverso. Era un corpo glorioso. Un corpo che porta ancora i segni dell’Amore – le ferite – ma che non è più prigioniero dello spazio e del tempo. Un corpo che entra nel Cenacolo senza passare dalle porte. Che appare, scompare, riappare. Che si “materializza” e si “smaterializza” come solo chi ha già vinto la morte può fare. Un’anticipazione, forse, della Trasfigurazione. Quel giorno sul monte, il suo volto cambiò, la sua veste divenne luce. Ed era ancora tra noi… ma già oltre.
Oggi, davanti a me, c’è un Gesù che ha “elevato” la sua umanità. Non è più solo uomo. Non è ancora solo Dio. È entrambe le cose. E sta lì, “a mezz’aria”, a mostrarmi che la relazione non è finita, ma solo trasformata. Ora Lui c’è… in un altro modo. E mi dice: “Io sono con te. Tutti i giorni. Fino alla fine del mondo”.
Il Catechismo è chiarissimo: la Risurrezione di Cristo non è un semplice ritorno alla vita terrena, come accadde per Lazzaro o per la figlia di Giairo. No. Gesù non è tornato alla vita di prima. È passato a qualcosa di nuovo. Di eterno. Di glorioso. Un corpo colmo di Spirito, partecipe della vita divina. Un corpo celeste, come lo chiama San Paolo.
E allora mi chiedo – e ti chiedo – davvero pensiamo che Dio non potesse apparire esattamente com’era prima della croce? Certo che poteva! Ma non l’ha fatto. Non per limiti suoi, ma per farmi crescere. Per spingermi oltre. Forse voleva che imparassi a guardare con il cuore. A non fermarmi alle apparenze. A fidarmi. A credere.
Perché, diciamolo: nemmeno vedere il Maestro mangiare bastò ai discepoli per crederci. Avevano ascoltato la Sua voce, visto le ferite, ricordavano ogni parola… ma ancora niente. Finché Gesù non fece un altro miracolo: “Aprì loro la mente per comprendere le Scritture”.
Ed è questo che mi scuote: io, senza Gesù, non posso fare nulla. Neppure capire. Neppure vivere davvero. Ho bisogno di Lui. Tu hai bisogno di Lui. Perché senza di Lui ci manca il respiro. È la purezza del cuore – non la mente piena – che ci fa vedere Dio. È l’umiltà, non la presunzione, che ci apre gli occhi. Solo i piccoli, i poveri in spirito, i semplici… riescono a riconoscerlo.
Abbiamo bisogno di Dio… per capire Dio. Abbiamo bisogno di Lui per non perderci. Per dare senso ai giorni. Per ritrovare la gioia. Perché chi perde Dio, piano piano perde anche se stesso. Lo diceva anche Sant’Agostino: “Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te”.
E allora, io lo so: il mio Dio non è un’entità lontana. Non è un’idea. Non è un concetto astratto. È un Dio che sceglie di farsi uomo per parlare con me. Per entrare nella mia storia. Per restare. Sempre.
Serve un Dio che si faccia uomo, per far capire all’uomo Dio #Santanotte
Alessandro Ginotta
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