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Nessuno è profeta in patria

Nessuno è profeta in patria

Fiducia e fede sono parenti stretti. Se non credi in qualcuno, gli togli il vento dalle vele. Al contrario, quando ti fidi, diventi parte del suo successo

Il mio in(solito) commento a:
Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria (Marco 6,1-6)

Ci pensi mai a quante volte sei caduto? Quando eri un bimbo barcollante ai tuoi primi passi, o quando hai inciampato nei primi errori a scuola. E magari ti sei sentito a terra pure con quei primi, teneri disastri chiamati amori.

Sai, chi ci conosce da sempre – quelli che ci hanno visto crescere – spesso si ferma proprio lì, ai nostri passi falsi. È come se davanti agli occhi avessero il replay dei nostri errori, dimenticandosi di tutto ciò che abbiamo imparato nel frattempo. Forse è per questo che “nessuno è profeta in patria”.

Immagina Gesù. Ha guarito persone dalle rive del Giordano ai monti della Galilea. Ha calmato tempeste, ridato vita… Ma quando torna a Nazareth, la sua città, si trova davanti sguardi increduli. “Ma non è il falegname, il figlio di Maria?” si chiedono sorpresi (vv. 2-3).

Giuseppe era un falegname specializzato nella produzione di aratri e gioghi. Una volta, un uomo molto ricco, gli ordinò di costruire un letto lungo sei cubiti. Giuseppe uscì dunque in campagna per prendere del legname e anche Gesù andò con lui. Tagliò due tronchi e li risquadrò con la scure. Ma quando, tornato a casa, li pose uno accanto all’altro, misurandoli, si rese conto che uno dei due era troppo corto. E non sapeva più che fare. Gesù disse allora al padre Giuseppe: «Metti a terra le due assi e pareggiale da una delle parti». Giuseppe fece come gli aveva detto il ragazzo; Gesù si portò dall’altra parte, afferrò l’asse più corta e la tirò a sé, rendendola uguale all’altra. A tale vista, suo padre Giuseppe rimase stupito, abbracciò il ragazzo e lo baciò esclamando: «Me beato, perché ho avuto da Dio un tale figlio!»” (Vangelo di Tommaso 13,1-2).

Come puoi non amare un padre ed un figlio così? Eppure i concittadini di Nazareth, che ora ascoltano un Gesù ormai trentenne, si dimostrano increduli. Forse non avranno assistito a questo “miracolo domestico”, ma lo hanno certamente visto crescere e conoscono la sua famiglia. Non riescono a capire come possa essere il Messia tanto atteso. Per loro, il Cristo doveva essere qualcun altro. Forse un re. O un condottiero. Non certo – pensavano – il figlio di un falegname…

Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua»” (v. 4).

Ancora oggi ricorriamo a questa frase quando constatiamo che proprio chi più ci sta vicino, familiari, colleghi, concittadini, compaesani, amici… non riesce ad apprezzare il nostro operato. Il problema era già noto 400 anni prima di Cristo, quando Ippocrate, in una delle sue sentenze, sottolineava l’effetto contrario, osservando cioè che, quando riponiamo la nostra fiducia nelle capacità di un’altra persona è un po’ come se, per far entrare il sole in casa, aprissimo anche quelle finestre che di solito lasciamo sigillate. E così, permettiamo alla luce ed al calore di splendere e rendere più luminosa ogni cosa. In qualche maniera, con la nostra fiducia siamo in parte artefici del successo dell’altro. Pensa, al contrario, quanto danneggiamo la persona di cui ci rifiutiamo di riconoscere le capacità, impedendogli, talvolta, perfino di agire!

Ma fiducia e fede sono parenti. Allora, fatte le dovute sostituzioni, possiamo capire perché Gesù stesso non operò nessun miracolo eclatante a Nazareth, nella sua terra natale. Certo, Cristo non ha bisogno del nostro consenso per realizzare un miracolo. Ma cerca la nostra fede. Perché a Gesù non piace fare miracoli “a senso unico”, ma Egli desidera coinvolgerci nelle scelte e nella decisione di cambiare. Non sgomita perché gli venga aperta la porta: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Apocalisse 3,20). Prima di compiere la maggior parte dei miracoli, chiede prova della nostra fede. «Che vuoi che io ti faccia?», «Va’, la tua fede ti ha salvato» (cfr. Marco 10,51-52).  «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!» (cfr. Luca 17,11-19). «Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata» (cfr. Mt 9,22), e così via…

Un episodio tenerissimo. Eppure, nonostante questa dolcezza, a Nazareth nessuno riesce a riconoscerlo come Messia. Non è come se lo aspettavano. Troppo “normale”.

E allora Gesù lo dice chiaramente: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua» (v. 4). Quante volte capita anche a te? Proprio chi ti sta più vicino non riesce a vedere le tue capacità. È come se spegnesse la luce prima ancora che tu possa brillare. Ma c’è un insegnamento potente qui: fiducia e fede sono parenti stretti. Se non credi in qualcuno, gli togli il vento dalle vele. Al contrario, quando ti fidi, diventi parte del suo successo.

Anche Gesù, a Nazareth, non compie grandi miracoli. Non perché non potesse, ma perché la fede di chi lo circondava mancava. E Lui, i miracoli, preferisce farli insieme a noi, non “a senso unico”.

Ecco perché sta alla porta e bussa (Apocalisse 3,20). Aspetta che tu apra, che tu gli dica: «Sì, entra!» Perché la tua fede è la chiave che apre le porte impossibili #Santanotte

Alessandro Ginotta

Il dipinto di oggi è: “San Giuseppe e Gesù Bambino”, di Guido Reni, 1640, olio su tela, 72.4 x 88.9 cm, The Museum of Fine Arts, Houston, USA

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