
Due miracoli intrecciati
Lo senti? È il brusio della folla che si accalca attorno a Gesù. Polvere sollevata dai passi, voci che si intrecciano nell’aria. E in mezzo a quel caos c’è lei, la donna che decide di ribellarsi al suo destino. Si fa strada tra la gente, con il cuore che batte forte. Sa che non dovrebbe essere lì, sa che la Legge la condanna. Ma non le importa più. Si getta a terra, allunga la mano, sfiora appena il lembo del mantello del Maestro… e in quell’istante tutto cambia. Una scarica di vita attraversa il suo corpo. È guarita. È libera.
Il mio in(solito) commento a:
Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni ed ella vivrà (Matteo 9,18-26)
L’emorroissa era una donna impura. Invisibile agli occhi della gente, che la evitava come fosse un’ombra portatrice di sventura. Per dodici lunghissimi anni aveva trascinato con sé una sofferenza nascosta, che le prosciugava il corpo e isolava l’anima. Le perdite di sangue la rendevano impura secondo le tradizioni dei farisei e dei dottori della Legge. Impura lei e impuro diveniva chiunque l’avesse toccata (e perfino chiunque si fosse macchiato toccando i suoi indumenti o il suo giaciglio). Nessuno osava avvicinarsi, nessuno si preoccupava per lei. Ma quel giorno tutto cambiò: prese il coraggio a quattro mani e fece qualcosa di straordinario: toccò il mantello di Gesù. Stando alla tradizione avrebbe dovuto contaminare Gesù con la sua malattia. Invece no. Fu Lui a contaminare la storia rivoluzionandola per sempre: il Figlio dell’Uomo aveva guarito la donna affetta da perdite di sangue. Non era diventato impuro, ma aveva purificato quella ragazza così coraggiosa.
Ma non è ancora finita. Dall’altra parte della folla c’è un padre. Il cuore spezzato, lo sguardo perso. Matteo non ci dice il suo nome, ma altri evangelisti lo chiamano Giairo. È un uomo importante, stimato. Ma oggi… oggi è solo un papà che trema. Sua figlia sta morendo. L’ha lasciata lì, su un letto che sa di addio, e si è messo a cercare Gesù. Con urgenza, con angoscia, con tutta la speranza che gli resta. E quando finalmente lo vede, non riesce a trattenersi: si butta a terra, ai suoi piedi. “Ti prego… vieni. La mia bambina sta per morire. Ma se tu la tocchi… lei vivrà”.
Gesù lo segue. Il tempo sembra fermarsi. E poi, davanti a quella stanza colma di pianto, pronuncia parole che scuotono l’universo: “Fanciulla, io ti dico: Alzati!” E la morte si arrende alla Vita.
Due storie, due atti di coraggio che si intrecciano come fili dorati nel tessuto del Vangelo. Storie di speranza che sussurrano al nostro cuore: anche tu puoi risorgere. Anche tu puoi guarire. Basta avere il coraggio di credere.
Pensa a quel padre che lascia la figlia morente per cercare Gesù. Immagina il tormento, la paura. Eppure non si ferma. Crede. E la sua fede viene premiata: la morte arretra, la Vita trionfa.
Gesù non guariva tutti, ma tutti quelli che lo cercavano davvero. Questo è il punto: la guarigione parte sempre dall’incontro. Perché Dio non si impone, si propone. Si avvicina quando una lacrima scivola sul nostro viso, quando il nostro cuore si apre, anche solo di un millimetro, alla sua grazia.
Ma per guarire davvero, devi volerlo. Devi essere disposto a cambiare. Devi avere il coraggio di sfiorare il mantello di Gesù.
Ti va di provarci? Sii audace nella preghiera. Abbi il coraggio di sperare contro ogni speranza. E vedrai: il miracolo accadrà. #Santanotte
Alessandro Ginotta

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