
Vuoi essere mangiatoia per Lui?
In casa tua, quasi certamente, c’è. Magari un po’ in disparte, su una mensola o in un angolo del soggiorno. Una grotta o una capanna leggermente storta, come lo sono tutte le cose vere. Un villaggio fatto di case piccole e silenziose, pastori colti a metà di un passo, artigiani chini sul loro lavoro come se il tempo si fosse fermato proprio lì. Qualche animale che scalda l’aria con il respiro, un ruscello che luccica come una promessa mantenuta a metà.
E poi lei. Al centro. Sempre. La grotta. Un luogo povero, scuro, quasi dimenticabile. Eppure capace di diventare un vortice di luce e di mistero. Lì dentro batte il cuore del mondo. Lì Dio sceglie di farsi vicino. Fragile. Disarmato. Affidato a una mangiatoia. Un Bambino. Appoggiato, non trionfante. Silenzioso, non invadente. Presente.
Il mio in(solito) commento a:
«Ecco, concepirai e darai alla luce un figlio» (Luca 1,26-38)
Oggi voglio portarti con me in un viaggio che non usa mappe né orologi. Un viaggio che si fa con il cuore più che con i piedi.
Facciamo un salto indietro nel tempo, verso la notte più sorprendente di tutte. Quella in cui il cielo ha deciso di abbassarsi fino a sfiorare la terra. Ma non voglio raccontarti questa storia come l’hai sempre sentita. Voglio guardarla con gli occhi di chi ha saputo trasformare la semplicità in eternità. Con gli occhi di uno che aveva capito che Dio si riconosce meglio quando si spoglia di tutto: San Francesco d’Assisi.
Ci sono voluti più di dodici secoli perché qualcuno avesse l’audacia di dire: proviamo a farlo vedere, questo mistero. Non a spiegarlo. A farlo toccare. Francesco ci arriva nel 1223, a Greccio, un piccolo paese appeso alla collina come una preghiera detta sottovoce. Torna dalla Terra Santa con gli occhi pieni di immagini e il cuore inquieto. Betlemme non lo lascia più in pace. Vuole rivederla. Vuole sentirla. Vuole che anche gli altri possano entrarci dentro.
Così organizza una rievocazione. La prima. Il primo Presepe della storia. Sceglie una grotta. Non un palazzo. Non una chiesa sfarzosa. Una grotta ruvida, fredda, vera. Chiama la gente del posto, non attori ma contadini. Porta animali veri, fieno che profuma di terra, una mangiatoia spoglia. Al centro, non un bambino in carne e ossa, ma una piccola figura di legno. Nulla di spettacolare. Tutto essenziale. Come Dio.
È la notte di Natale. Francesco è davanti alla mangiatoia, predica. Parla di quel Dio che ha scelto di nascere piccolo. E a un certo punto prende in braccio il Bambinello, lo guarda, lo accarezza, lo mostra alla folla. Ed è lì che accade qualcosa che sfugge alle categorie della ragione. Qualcuno dice di aver visto quel Bambino di legno animarsi. Prendere vita. Come se l’amore lo avesse svegliato. Come se la fede, quando è pura, sapesse restituire vita anche a ciò che sembra immobile.
Io, ogni volta che ci ripenso, sento un nodo alla gola. Perché mi ricorda che Dio non ha bisogno di grandi scenografie per farsi presente. Gli basta un cuore che lo attende davvero. Un’attesa sincera. L’Avvento della fede.
Quella notte tutto è mistero. Persino il fieno. Quello stesso fieno povero e scartato su cui era appoggiato il Bambinello diventa segno di guarigione. Distribuito agli animali malati, restituisce vita. È come se ogni cosa, quella notte, avesse imparato a parlare la lingua di Dio. La lingua della cura.
San Francesco non voleva solo ricordare una nascita. Voleva portare quella Vita dentro le nostre vite. Voleva dirci che quel Bambino non è confinato in una pagina di Vangelo o in una data sul calendario. Voleva ricordarci che Gesù nasce ogni volta che qualcuno osa credere all’impossibile. Come Maria. Una ragazza qualunque a cui viene affidato l’infinito. Non capisce tutto. Ma si fida. E questo basta.
Dimmi la verità: quante volte anche tu ti sei fermato perché qualcosa ti sembrava troppo grande, troppo difficile, troppo assurdo? Il presepe, ogni anno, torna a sussurrarci che Dio ama entrare proprio lì. Nei nostri limiti. Nelle nostre paure. Nelle nostre notti. E trasformarle.
Se stasera ti soffermerai davanti a quella mangiatoia, non guardarla solo con gli occhi. Entra nella scena. Mettiti accanto a Francesco. Accanto a Maria. Accanto a quel Bambino che non grida, ma chiama. E lascia che la semplicità ti salvi ancora una volta.
Perché il vero miracolo non è che Dio si sia fatto Uomo. È che continua a farlo, ogni volta che gli lasciamo spazio. Il vero miracolo lo rendi possibile tu, con la tua fede. Ti basta credere in Dio per permettergli di nascere nel tuo cuore. Vuoi essere mangiatoia per Lui? #Santanotte
Alessandro Ginotta

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