
Che cosa serve per essere felici?
“Chi semina tra le lacrime, raccoglierà cantando di gioia” (Salmo 126,5).
Una frase antica di oltre duemila anni… eppure così vera, così viva. È la promessa che il dolore non è l’ultima parola. È il respiro di speranza che ci solleva, anche quando tutto ci sembra perduto.
Il mio in(solito) commento a:
“Nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (Gv 16,20-23)
Gesù ce lo dice chiaramente: ci sarà un tempo per il pianto, un tempo per la tristezza, un tempo in cui il mondo sembrerà ridere mentre noi stiamo in ginocchio…
Ma poi — sì, poi — tornerà la luce. E con quella, la gioia. Quella vera. Quella che nessuno potrà più portarci via.
Come una madre che, nel dolore del parto, stringe i denti, ma poi… quando sente il primo vagito del suo bambino, dimentica ogni sofferenza. Ecco, Gesù ci promette questo: un incontro che ripagherà ogni attesa, ogni notte, ogni ferita.
Ma allora… perché il male?
Perché il dolore?
Perché, a volte, tutto sembra andare storto e la gioia ci sfugge di mano?
Non sei il primo a chiedertelo. Anche Giobbe, l’uomo giusto, si è fatto la stessa domanda. E forse, almeno una volta nella vita, anche tu — come me — hai alzato gli occhi al cielo e sussurrato: “Perché, Signore?”
E io ti rispondo così: Dio non vuole il nostro male. Non può volerlo.
Lui è il Padre che ci ama al punto da mandarci il Figlio. È il Buon Pastore che lascia tutto per venirci a cercare nel deserto della nostra vita. È Colui che si fa Pane ogni giorno per starci accanto, anche quando non lo vediamo.
Il male, però, esiste.
E ha due facce.
Una è quella che nasce da noi.
Sì, da me, da te, da chiunque scelga l’egoismo al posto dell’amore, l’invidia al posto della condivisione. È il male che nasce quando ci dimentichiamo che anche l’altro è un figlio di Dio. Questo è un male che si può evitare. Basterebbe, semplicemente, amare di più.
Poi c’è il male che non capiamo. Quello che ci piomba addosso come un fulmine a ciel sereno: un terremoto, una malattia, un incidente. È un male che affonda le sue radici lontano, in quella scelta folle di Lucifero, l’angelo che volle farsi Dio… e invece divenne il suo avversario.
Ma Dio non ci ha lasciati soli.
Ha preso su di Sé il dolore del mondo. Si è fatto carne. Ha pianto, ha sofferto, è morto… per amore nostro. E proprio per questo, il dolore ha un senso. Non è fine a sé stesso. È un passaggio. È una croce che conduce a una resurrezione.
A volte pensiamo che Dio dovrebbe liberarci con uno schiocco di dita… ma non sempre è così.
Neanche Gesù è sceso dalla croce. Avrebbe potuto, certo. Eppure è rimasto lì. Non per rassegnazione, ma per amore. Perché il modo di Dio, anche se non lo comprendiamo subito, è sempre il migliore.
Lo capiamo dopo. Quando la notte sarà finita.
Intanto, però, Lui c’è. È con te. E il suo amore… è più forte di qualsiasi male.
Per questo, se lasci entrare Dio nel tuo cuore, anche il dolore più profondo può trasformarsi in forza. Anche la notte più buia può accendersi di stelle. Anche il vuoto può diventare pienezza.
San Paolo scrive: “Il nostro cuore soffre, ma abbiamo sempre gioia. Siamo poveri, ma arricchiamo molti. Non abbiamo nulla, eppure possediamo tutto” (2 Cor 6,10).
E io lo so, lo sento: se nel cuore hai Dio, allora hai davvero tutto.
Anche quando ti manca tutto il resto.
E allora custodisci questa promessa: “Chi confida nel Signore sarà ricolmo di gioia” (Salmo 16,20).
“Gioiosi sono coloro che mi cercano ogni giorno… perché chi mi trova trova la vita” (Proverbi 8, 34-35).
“Il Signore è la mia forza e il mio scudo. Il mio cuore esulta e io lo ringrazio con il canto” (Salmo 28,7).
“Coloro che guardano a Lui per aiuto saranno raggianti di gioia” (Salmo 34,5).
Sì… raggianti. Anche tu.
#Santanotte
E che la tua gioia… sia di quelle che nessuno potrà portarti via.

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