Hai presente quella frase di Andy Warhol? Quella che dice: «Nel futuro ognuno sarà famoso per quindici minuti»? Ecco, ogni volta che la sento, mi torna in mente quanto siamo fragili. Sì, perché in fondo corriamo tutta la vita per rincorrere visibilità, applausi, successo… e poi? Poi tutto svanisce. Il tempo inghiotte ogni nostra impresa, e quello che ci sembrava eterno si rivela solo un fuoco di paglia. Resta dentro, però, una sete che nessun like, nessuna vittoria, nessuna ricchezza riesce a spegnere. Una sete d’infinito. A meno che…
Il mio in(solito) commento a:
«Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Giovanni 6,60-69)
Cambia il tempo, cambiano gli umori. Il mare di Galilea, che sembrava così calmo da permettere a Gesù di camminarci sopra, ora si fa minaccioso. È il giorno dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci. I cuori, pieni di entusiasmo fino a ieri, oggi si raffreddano. La folla interroga Gesù, ma le risposte non piacciono più.
L’uomo è volubile. Finché le cose vanno come vogliamo noi, tutto bene: si canta, si festeggia. Ma appena il cielo si rabbuia e le certezze cominciano a tremare… allora crollano anche le promesse, i buoni propositi, perfino la fede.
Piace il Dio che moltiplica pani e pesci. Piace quello che risolve miracolosamente ogni problema. Ma appena quel Dio ci chiede di guardare dentro, di andare oltre l’apparenza, di sfamare lo spirito e non solo la pancia… ecco che ci sentiamo a disagio. Quando poi lascia intravedere la Croce, la maggior parte si defila: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?» (v. 60).
Siamo onesti: tutti, almeno una volta, abbiamo immaginato un Dio trionfante, potente, che punisce chi fa il male. È molto più complicato credere in un Dio mite, che tace davanti all’ingiustizia, che muore in croce per amore. Serve un salto. Un salto di fede. Perché sì, si può vincere anche perdendo. Lo ha fatto Gesù.
Il punto non è che non capiamo il Vangelo. Il problema è che lo capiamo fin troppo bene. Ed è proprio questo che ci mette in crisi. Perché ci chiede di cambiare. E cambiare costa. Gesù lo sa, e non fa sconti: «Tra voi ci sono alcuni che non credono» (v. 64). E infatti: «molti dei suoi discepoli tornarono indietro» (v. 66). Ma Lui non trattiene nessuno. Non addolcisce il messaggio. Guarda negli occhi i Dodici e chiede: «Volete andarvene anche voi?» (v. 67).
È lì che nasce la fede vera. Quando resti. Quando scegli di fidarti anche se non capisci tutto. Quando decidi di camminare con un Dio che non scavalca la sofferenza, ma la attraversa. Che non ci evita il dolore, ma lo condivide con noi. E resta. Sempre.
Lui non ci abbandona mai. Anche se siamo noi a prendere le distanze, Lui resta a un passo. Pronto a venirci a cercare, anche nel deserto dei nostri smarrimenti.
E Pietro lo capisce. Con quella semplicità che taglia come una lama: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (v. 68).
È così. Abbiamo bisogno di stare con Lui. Di camminare con Dio, di nutrirci della sua Parola, di sentirlo vicino. Perché più gli restiamo accanto, più cresce il desiderio di non andarcene mai. E lì, proprio lì, avviene il miracolo più grande: Dio vince. In un modo che spiazza. Morendo per noi. Risorgendo per noi. Aprendo, per sempre, le porte della Vita.
Per capirlo davvero, però, non basta la testa. Ci vuole il cuore. Solo Lui può saziare la nostra sete d’infinito #Santanotte
Alessandro Ginotta
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