
La risurrezione di Lazzaro
Siamo talmente abituati a pensare a Gesù come Dio, che quasi ci dimentichiamo che amava circondarsi di amici. Sì, amici veri, con cui cenare, parlare, fermarsi a riposare. Amici con cui condividere una parte della vita.
Il mio in(solito) commento a:
Io credo che sei il Cristo, il Figlio di Dio (Giovanni 11,19-27)
Oggi voglio portarti con me a Betania. È un piccolo villaggio, a tre chilometri da Gerusalemme, che profuma di casa e di amicizia. È lì che Gesù si rifugiava spesso, accolto con affetto da Marta, Maria e Lazzaro. Non ci andava per predicare, ma per stare insieme, per godere di quelle relazioni semplici e sincere che scaldano il cuore.
Immagina di essere anche tu in quella casa. Ti siedi ai piedi di Gesù e ascolti. Lui non ti parla di cose complicate, ma ti insegna a distinguere ciò che conta davvero da ciò che è solo rumore di fondo. Ti aiuta a vedere la differenza tra ciò che dura un istante e ciò che resta per sempre.
E poi, come capita spesso tra amici, arriva il momento difficile. Lazzaro si ammala gravemente. Marta e Maria, angosciate, mandano a chiamare Gesù: “Signore, il tuo amico è malato”. Quante volte anche noi ci siamo trovati a invocare un aiuto così: semplice, diretto, pieno di fiducia. Gesù accoglie quella richiesta, ma non corre subito. Lui sa che dietro quella malattia si nasconde un’occasione per manifestare la gloria di Dio.
Quando finalmente arriva, Lazzaro è già morto. Marta gli va incontro, piena di dolore e di speranza insieme: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. È un grido che nasce dal cuore, ma è anche un atto di fede: “Qualunque cosa chiederai a Dio, Egli te la concederà”.
Ed ecco che Gesù le rivela qualcosa di straordinario: “Io sono la risurrezione e la vita”. Non sta parlando solo della fine dei tempi, ma di adesso, di ogni giorno. È una promessa di vita vera per chiunque crede in Lui. Marta risponde con parole che ancora oggi ci scuotono: “Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”.
Questo Vangelo non è solo il racconto di un miracolo. È un incontro travolgente con il lato più umano di Gesù. Pochi versetti dopo, lo vediamo piangere. Sì, proprio Lui: il Figlio di Dio, che si commuove fino alle lacrime per l’amico perduto. In quelle lacrime c’è tutto l’amore di Dio per ciascuno di noi. In quel pianto c’è il dolore del Padre per ogni suo figlio che si smarrisce.
E poi, davanti alla tomba, Gesù pronuncia parole che rompono il silenzio della morte: “Togliete la pietra!”. Sì, perché davanti a ogni cuore c’è sempre una pietra. Un masso pesante fatto di peccato, orgoglio, indifferenza, pregiudizio. È quella pietra che ci chiude in un sepolcro di solitudine, che ci soffoca, che ci impedisce di vivere una vita piena e autentica. È quella pietra che spegne la gioia nei nostri cuori… e fa piangere perfino Gesù.
Ma oggi, proprio oggi, Gesù ci invita a rimuovere quella pietra. Ci chiama per nome e ci dice: “Vieni fuori!”. È un invito urgente a uscire da quelle grotte buie in cui ci siamo rinchiusi. È tempo di tornare a vivere!
Questa pagina del Vangelo ci insegna tanto. Ci ricorda il valore immenso dell’amicizia, ci invita a non lasciarci travolgere dagli affanni quotidiani, ma a vivere ogni momento con lo sguardo fisso sulla speranza. La fede non è solo qualcosa che riguarda la fine dei tempi; è una forza che ci permette di risorgere ogni giorno. Risorgere dal grigiore di una vita spenta, per accogliere la bellezza di un’esistenza colma di Dio e del suo amore.
Amore da ricevere.
Amore da donare.
Amore da restituire a Dio, sorgente di ogni bene.
E allora… togliamo quella pietra. E lasciamo che la Vita torni a scorrere in noi. #Santanotte
Alessandro Ginotta

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