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La notte (non è) più buia

La notte (non è) più buia

Eccola, questa è la notte.
Non una notte qualunque. È la notte delle notti.
La più buia, la più silenziosa, la più densa di tutte.
È la notte del Sabato Santo.

Senti? No.
Non si sente nulla.
Il silenzio è così spesso che quasi fa rumore. È come una coperta calata su tutto. Persino le campane tacciono. “Legate”, si diceva un tempo. Con corde strette ai battacchi, per evitare che il vento ne tradisse il silenzio. Come se anche il cielo, oggi, dovesse farsi piccolo piccolo. Come se tutta la creazione si fosse accorta che Qualcuno è morto. E si fosse zittita.

Cristo. È morto davvero.
Lui che restituiva la vista ai ciechi, che faceva danzare gli zoppi, che accarezzava i lebbrosi senza paura e li guariva. Lui che sussurrava “alzati” e i morti tornavano a camminare. Proprio Lui… ora giace in un sepolcro scavato nella roccia.
Tutto sembra perduto.
Tutto sembra finito.

E io…
Io sono qui, come i discepoli di Emmaus.
Smarrito, pieno di dubbi, quasi arrabbiato con me stesso per aver creduto.
Ma come?! Il Figlio di Dio… muore?
È crollato il mio punto di riferimento.
Quella Luce che guidava i miei passi si è spenta.
Il sole stesso sembra aver fatto lo stesso, oscurando la terra. Come se anche lui avesse voluto condividere il lutto.

Oggi non è il giorno della festa. È il giorno del silenzio.
Un silenzio che pesa.
Che grida nel cuore.
Che spinge a domandarsi: dov’è Dio?

Eppure, anche in questo silenzio, io sento qualcosa.
Un battito.
Debole, ma presente.
È come se il cuore dell’universo avesse solo rallentato… non smesso.
È un’attesa.
È la veglia prima del miracolo.

Papa Francesco, nella sua meditazione della Via Crucis 2025, parla di “un mondo a pezzi”. E ha ragione.
Perché fuori dalle nostre porte la guerra infuria.
Ma non solo con i missili. Con i droni.
Già, con quegli strumenti freddi, vigliacchi, programmati per uccidere da lontano.
Come se la distanza potesse renderci meno colpevoli.
Come se la morte fosse più leggera, se non l’abbiamo guardata in faccia.

E noi?
Noi continuiamo a vivere come se nulla fosse.
Camminiamo in mezzo alle macerie dei valori, e non ci accorgiamo nemmeno che ci stanno crollando sotto i piedi.
La fame, la sete, le epidemie…
Non sono più notizie. Sono rumori di fondo.
Non le ascoltiamo più.
Come se anche le nostre anime fossero state “legate”, proprio come le campane.
Imbavagliate.
Immobili.
Mute.

Eppure io lo so: torneranno a suonare.
Queste campane, sì.
Ma anche le tue.
Anche le mie.

Sì, amico mio, questa notte non è solo silenzio.
È l’attesa della rinascita.
È la doglia prima del parto.
È la tregua prima della risurrezione.
È il respiro trattenuto del mondo, in attesa che il Gloria scoppi come un tuono e spezzi il buio.

E quando il sacerdote lo canterà, il “Gloria in excelsis Deo”, e i sacri bronzi esploderanno in un canto di gioia…
oh, allora sì che sentiremo la Vita tornare a scorrere!

Perché Lui non è rimasto nella tomba.
No.
Lui vive.
E viene ancora a cercarci, a camminare con noi, a spezzare il pane sulla nostra strada di Emmaus.

E allora io prego.
Prego che le campane del tuo cuore possano essere sciolte.
Che si spezzino i nodi dell’indifferenza, dell’apatia, del dolore muto.
Che si liberi quel suono che annuncia un mondo nuovo.
Un mondo che non ha dimenticato l’umanità.
Un mondo che non ha paura di sognare.

Maràna tha.
Signore Gesù, vieni.
Ritorna in mezzo a noi.
Accendi le nostre vite.
Riporta il senso.
Restituisci la voce a questo mondo muto.

#Santanotte.
Ma non una notte qualsiasi.
Questa è la notte che prepara la luce.

Alessandro Ginotta

Il dipinto di oggi è: “Cristo di San Giovanni della Croce” di Salvador Dalì, 1951, olio su tela, cm 205×116, Kelvingrove Art Gallery and Museum di Glasgow, in Scozia.

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