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Il Vangelo può essere scomodo?

Quando il Vangelo è scomodo?

Oggi mi sono posto questa domanda: il Vangelo può mai essere scomodo? Me lo sono chiesto perché… lo scopriamo insieme?

il mio in(solito) commento a:
Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto (Marco 6,14-29)

Pensando a brani scomodi potrebbe venire in mente qualche invettiva, un richiamo alla povertà, finanche la richiesta di perdonare chi ci fa un torto. Invece no, quelli scorrevano lisci come l’olio, li comprendevo, ne padroneggiavo parole e temi. A crearmi difficoltà è sempre stato questo brano. Non ti so dire se perché lo associo a ricordi spiacevoli o se a turbarmi sia il fatto che si parla della decapitazione di San Giovanni Battista, o forse a risultarmi particolarmente antipatica è l’immagine di Erode Antipa, fotocopia “sbiadita” del sanguinario Erode il Grande.

Eh sì, ai più distratti potrebbe sfuggire il fatto che gli Erode citati nel Vangelo, in realtà, sono due. Il primo è un re: Erode detto “il Grande”, colui che ingannò i Re Magi e che si macchiò del sangue innocente, ordinando la strage di tutti i bambini sotto i due anni di età, con la speranza di assassinare tra loro anche Gesù. Il secondo non era neppure re: il tetrarca Erode Antipa. Dapprima designato come successore del padre, perse la corona che venne consegnata ad Archelao e si dovette accontentare del titolo di governatore della Giudea.

Oh, ma se Erode il Grande fu assassino di bambini, anche ad Erode Antipa non mancarono le occasioni di macchiarsi dei peccati peggiori: invaghitosi di Erodiade, moglie del fratello Filippo, gliela sottrasse e la sposò, nonostante fosse per lui nipote e cognata. Invano, San Giovanni il Battista, cercò di fargli cambiare idea. Ma il male, amici cari, è un serpente che, strisciando nell’ombra, prima ci acceca e poi ci soffoca. E così Erode Antipa, fu attratto da un’altra donna, Salomè, sua pronipote e figlia di Erodiade. La vide danzare, le piacque e le disse: «Chiedimi quello che vuoi e te lo darò» (cfr. Mc 6,22). Salomè, probabilmente imbeccata dalla madre, domandò al tetrarca la testa di quel profeta che aveva avuto il coraggio di sottolineare l’immoralità della relazione tra Erode ed Erodiade.

Uccidere Dio. Decapitare il profeta. Assassinare quella voce che sentiamo dentro di noi e ci spinge a comportarci bene. Soffocare quel seme che lo stesso Creatore ha posto dentro di noi, la scintilla di Dio che illumina il nostro cuore e rischiara il nostro cammino aiutandoci a districarci nel buio della vita. Sopprimiamo il bene, che ci pare scomodo, e finiamo per perderci nell’oscurità.

E’ terribile, ma è così: uccidiamo Gesù, nel nostro cuore, ogni volta che lo dimentichiamo. Ogni volta che scegliamo di fare il male, anziché il bene. Ogni volta che il peso della nostra coscienza sembra troppo greve ed allora preferiamo liberarcene. Lì, amici cari, assassiniamo il Profeta scomodo, perché non parli. Perché non ci accusi. Perché la sua morte ci permetta di proseguire a compiere scelte sbagliate in nome di una pigrizia, di un’ignavia e di un egoismo a cui abbiamo venduto la nostra anima, proprio come Giuda, per trenta misere monete d’argento.

#Santanotte. Non assassiniamo Gesù, ma lasciamo che la sua luce illumini ogni giorno il nostro cuore

Alessandro Ginotta

Il dipinto di oggi è: “Il Battesimo di Cristo” di Francesco Trevisani, olio su tela, 1723, Leeds Art Gallery, Inghilterra

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