Può un cieco guidare un altro cieco? Questa domanda ci colpisce dritto al cuore. E se non sentiamo questo colpo, forse è il momento di mettersi il collirio.
Il mio in(solito) commento a:
Può forse un cieco guidare un altro cieco?
(Luca 6,39-42)
Recentemente ho scritto una recensione su un libro di Eric Pearlman che si intitola “L’ultimo posto”. Se non sai chi sia forse è perché l’autore, fedele al titolo del libro, è molto schivo e riservato. Eppure una sua poesia è stata letta nientemeno che in diretta TV, durante una celebrazione Eucaristica presieduta da Papa Francesco.
Pearlman scrive:
Tienimi l’ultimo posto, Dio.
Quello che nessuno chiede.
Giù, in fondo al bus sgangherato
che ogni giorno trasporta
i pendolari della misericordia
dal peccato al perdono.
Questo viaggio dell’umiltà, dal peccato al perdono, mi ha fatto molto riflettere. Siamo così incatenati al nostro ego che persino ripetere una preghiera ci mette in difficoltà. Perché, ammettiamolo, abbiamo paura che Dio ci prenda sul serio e ci metta davvero all’ultimo posto. Noi, che intasiamo i social di selfie, cercando il filtro perfetto. Noi, che scegliamo con cura ogni capo per mettere in mostra “il meglio” di noi stessi. Noi, che passiamo ore in palestra per scolpire il corpo… In un mondo ossessionato dall’apparenza, l’essenza passa in secondo piano. Quando adoriamo l’immagine, buttiamo via i veri valori, sacrificandoli per un look che deve gridare al mondo chi siamo. Ma questo valore è una menzogna, perché si basa sul vuoto e sull’illusione.
Quante volte ci siamo trovati davanti a qualcuno che, pur non sapendo nulla di un argomento, ostenta conoscenze da manuale e si sente in diritto di criticare tutti? Sono certo che questa scena ti sia familiare. Ma ora la vera sfida: ti sei mai accorto di comportarti proprio così?
Lo so, non è facile ammetterlo. A volte, guardandoci allo specchio, vediamo un riflesso che non ci piace, e proviamo a nasconderlo (perfino a noi stessi). Siamo noi, i ciechi che pretendono di guidare altri ciechi.
Il problema è proprio questo: la presunzione di essere sempre pronti a fare da guida, quando in realtà siamo i primi a brancolare nel buio. Questo ci acceca, ci fa ignorare i nostri difetti e ci fa credere di avere il diritto di giudicare tutto e tutti. Non ci rendiamo conto della gravità delle nostre mancanze, mentre siamo rapidissimi a puntare il dito verso gli errori degli altri. “Perché guardi la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?” (v. 41).
Quella pagliuzza dovrebbe farci riflettere sui nostri difetti. I lati storti di chi ci circonda, la loro superficialità, i loro errori così evidenti… possono trasformarsi in una lezione per noi, non per loro. Perché è proprio attraverso quella pagliuzza che possiamo vedere i nostri difetti riflessi.
Ricorda che Cristo “non è venuto per giudicare il mondo, ma per salvarlo” (cfr. Giovanni 12,47). Non è un giudice severo che ci separa in buoni e cattivi, ma un padre amorevole che ci ama a prescindere. Ha detto anche: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori” (Marco 2,17). Il Signore non ci invita solo a non giudicare, ma ci sprona ad essere misericordiosi: “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6,36). Questo è il vero collirio di Gesù: la miscela di perdono e misericordia, virtù che ci liberano dalla cecità dell’orgoglio e del peccato. Solo così la trave cadrà dal nostro occhio.
#Santanotte
Alessandro Ginotta
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