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Tu sei Pietro, a te darò le chiavi del regno dei cieli

Tu sei Pietro, a te darò le chiavi del regno dei cieli

Gesù ha scelto un uomo così: arrogante e fragile al tempo stesso, come primo tra gli apostoli, per farcelo sentire più vicino. Più umano. Fallibile, ma in fondo buono. Proprio come noi: pieni di difetti, ma anche capaci di slanci di generosità. Dio non ci vuole sovrumani, ma ci accetta così come siamo, ci accoglie, ci perdona, ci ama e ci protegge. Oggi e sempre, perché le potenze degli inferi non prevarranno!

Il mio in(solito) commento a:
Tu sei Pietro, a te darò le chiavi del regno dei cieli (Mt 16,13-19)

Qualche anno fa scrissi un commento intitolato “Perché San Pietro ha cambiato nome?” in cui raccontavo la trasformazione di Simone figlio di Giona (cfr. v. 17), da seguace di Gesù irruento e che talvolta si lascia prendere dall’entusiasmo parlando un po’ a sproposito, in Pietro, il primo degli apostoli, custode delle chiavi del Regno dei Cieli. Allora scrissi che quello a cui assistiamo in questi versetti di Vangelo è il primo conclave della storia, in cui è lo stesso Gesù a scegliere chi sarà il capo della Chiesa: «E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (vv. 18-19). Ancora oggi le chiavi incrociate, una d’oro ed una d’argento che rappresentano il potere di sciogliere e di legare, compaiono nello stemma della Santa Sede. La chiave d’oro allude al potere nel regno dei cieli e la chiave d’argento indica l’autorità spirituale del papato sulla terra. La corda con gli archi che uniscono le impugnature alludono al legame tra i due poteri. La tripla corona (la tiara papale) rappresenta le tre funzioni del Papa come pastore, maestro e sacerdote. La croce d’oro su un globo sovrapposto alla tiara simboleggia la regalità di Cristo.

Stemma della Santa Sede

Gesù aveva già scelto questo apostolo “pasticcione” prima ancora di chiamarlo a sé sulle rive del mare di Galilea. Sappiamo che lo incontrò un sabato, all’uscita dalla sinagoga, quando si recò a casa sua per guarire sua suocera. Deduciamo che fosse sposato. E sappiamo che aveva una barca, proprio quella che metterà a disposizione di Gesù per il primo discorso alla folla radunata sulla sponda del lago. Simone da subito sente di potersi fidare di Gesù: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti» (cfr. Luca 5,5). Meravigliato per il successo della prima pesca miracolosa, Simone esclamerà: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». (cfr. Luca 5,9). Sarà a Simone che Gesù rivelerà per primo la missione: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini» (cfr. Luca 5,11). I quattro Vangeli raccontano che Simone era non solo uno degli apostoli, ma uno dei più stretti seguaci di Cristo: insieme a Giacomo e Giovanni assisterà alla risurrezione della figlia di Giairo; sarà testimone della trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor e lo seguirà nelle ultime ore di preghiera nel giardino del Getsemani. Spesso è proprio Simone a prendere la parola a nome dei dodici, talvolta arrogandosi addirittura la libertà di dire proprio a Gesù ciò che il Figlio di Dio avrebbe potuto o non potuto fare. Per questo passerà, nell’arco di pochi versetti, dal ricevere il più grande encomio al meritare l’appellativo di “satana“, perché cercherà di convincerlo a non accettare il destino di morte in croce. Parlando con Gesù Pietro spesso si ricrederà, cambierà idea, si lamenterà. Insomma, questo principe degli apostoli ci appare molto umano. Zelante al punto da sguainare una spada per mozzare l’orecchio del servo Malco (cfr. Giovanni 18,10-11), ma incapace di mantener fede alle proprie promesse («sono pronto ad andare con te in prigione e alla morte» cfr. Luca 22,33) al punto tale che, al canto del gallo, rinnegherà Gesù (cfr. Luca 22, 54-62).

Gesù ha scelto un uomo così: arrogante e fragile al tempo stesso, come primo tra gli apostoli, per farcelo sentire più vicino. Più umano. Fallibile, ma in fondo buono. Proprio come noi: pieni di difetti, ma anche capaci di slanci di generosità. Dio non ci vuole sovrumani, ma ci accetta così come siamo, ci accoglie, ci perdona, ci ama e ci protegge. Oggi e sempre, perché le potenze degli inferi non prevarranno! (cfr. v. 18). #Santanotte

Alessandro Ginotta

Il dipinto di oggi è: “Cristo consegna le chiavi a San Pietro”, di Pietro Perugino, 1481, affresco, 335 × 550 cm, Cappella Sistina, Città del Vaticano

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