Una in(solita) lettura dell’Apocalisse ci porterà a spezzare le catene che ci legano al peccato del mondo e ci permetterà di salire fino al cuore di Dio.
Il Figlio dell’uomo radunerà i suoi eletti dai quattro venti (Marco 13,24-32)
Prepararsi ad un’attesa pensando ad un’altra attesa: mentre le settimane scorrono veloci avvicinandoci all’Avvento ed al Natale, la Liturgia ci propone una serie di letture che riguardano la fine dei tempi. Pagine che, la nostra immaginazione, associa a grandi calamità, con un incalzare di eventi disastrosi. Ed in parte è vero, la letteratura apocalittica ci suggerisce (anche) questo. Ma non solo.
Non dimentichiamo che il termine “apocalisse” significa “rivelazione” (e non “distruzione”). Pagine che ci svelano segreti ed annunciano eventi che accadranno quando tutto finirà. O meglio: quando cambierà il nostro modo di vivere così come è stato fino ad ora. Sì, perché la chiave è tutta qui: capire che, anche alla “fine” non finirà nulla. Perché anche il dolore e la distruzione saranno una condizione transitoria. Un po’ come il dolore del parto, un dolore limitato nel tempo, che porta ad una nuova vita e ad una trasformazione di tutto ciò che ci circonda. Cambierà tutto.
L’Apocalisse quindi non è stata scritta per impaurire, ma addirittura per dare coraggio, per raccontare che il futuro a cui tendiamo è un futuro di vita “con Dio”. “Non ci sarà più notte; non avranno bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli” (Apocalisse 22,5). Un futuro in cui noi vivremo “in mezzo” a Dio, così come, duemila anni fa, Dio venne ad abitare “in mezzo a noi”.
Ecco una bella relazione tra l’attesa della Seconda Venuta e l’Avvento. D’altra parte già san Paolo si trovò a dover rassicurare i primi cristiani che, spaventati dalle profezie sul ritorno di Gesù sulla terra, addirittura avevano smesso di lavorare per attendere la fine del mondo: “Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente…” (2Tessalonicesi 2,1-2).
Nessuno sa quando avverrà la fine del mondo: “Quanto a quel giorno e a quell’ora nessuno lo sa, né gli angeli del cielo, né il Figlio ma solo il Padre”. (Matteo 24,36). Non possiamo spaventarci per qualcosa che potrebbe accadere tra migliaia, decine di migliaia, o addirittura milioni di anni. Non possiamo e non dobbiamo. Anche perché, come già lo è la morte, la fine del mondo non sarà la fine, ma un nuovo inizio. L’inizio di una vita sotto una forma diversa. L’inizio di una vita con Gesù e con Dio. L’inizio di una vita nella nuova Gerusalemme, dove non servirà chiudere le porte, perché non ci saranno malvagi. Dove non servirà lampada perché Dio sarà tra noi.
Prepariamoci dunque a vivere questi momenti non tanto con la paura nel cuore, ma con quell’amore che deriva dallo stare con Dio.
Oggi, la gioia che deriva dall’essere con Dio, dal camminare con Lui per le strade del mondo, è “sporcata” proprio perché viviamo nel mondo, dove conviviamo con quel “serpente” che ingannò Adamo ed Eva. E’ l’ombra del Peccato Originale che ci rattrista. Quella gioia intensa che proviamo quando più siamo in comunione con Dio che ci ama, talvolta ci viene tolta, strappata via da un demonio che ci odia. Un demonio che insidiava gli stessi apostoli ed i primi cristiani. Un demonio che insidia ancora oggi tutti i cristiani perseguitati nel mondo.
Ma noi abbiamo una certezza: la nostra tristezza si trasformerà in gioia. Sì, quando il destino dell’uomo si compirà, ed il Figlio dell’Uomo ci chiamerà a Lui, allora noi potremo essere, come Lui e insieme a Lui: puro ed autentico amore. E la nostra gioia non sarà più turbata. Perché “non vi sarà più maledizione” (Apocalisse 22,3) e Dio “tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate”, perché: “Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli” (Apocalisse 22,5).
Fino ad allora, finché vivremo “nel mondo”, sperimenteremo questa imperfezione, il nostro spirito sarà “corruttibile” un po’ come il nostro corpo, e sarà soggetto ai sentimenti negativi che ci ispira il demonio. Perché per ora, scrive San Paolo: “La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà” (1Corinzi 13,9).
E così, il male che vivremo, è un passaggio necessario per liberarci del peso del peccato originale. Alla fine dei tempi potremo finalmente spezzare le catene che ci legano al peccato del mondo e ci permetteranno di salire fino al cuore di Dio. Un cuore che palpita d’amore per noi.
#Santanotte amici. Attendiamo il momento in cui il Dio-con-noi, che scese sulla terra per vivere in mezzo a noi, tornerà per portarci a vivere in mezzo a Lui. Vivere, non morire. Perché Dio è dei viventi. E sarà la nostra luce! Dio vi e ci benedica amici cari
Alessandro Ginotta
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