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Settanta volte sette

Settanta volte sette

Ecco un brano da leggere quando ti è accaduto qualcosa di male e proprio non riesci a perdonare…

Il mio in(solito) commento a:
Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette (Matteo 18,21-19,1)

La parabola è molto semplice e fa riflettere: un servo doveva diecimila talenti al proprio re (una cifra spropositata se consideriamo che un talento valeva 60 mine, cioè più di 34 chili di argento: circa 30 anni di lavoro di un operaio). In lacrime il servo pregò il suo padrone di condonargli il debito. Ed il re, con un sorprendente gesto di generosità, acconsentì.

Lo stesso servo, sollevato da questo debito, uscì in strada ed incontrò un suo compagno che gli doveva 100 denari (l’equivalente di 100 giornate di lavoro). Lo prese per il collo, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregò: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

Così, con questa evidente sproporzione, Gesù ci “tira un po’ le orecchie”. E’ Lui quel re generoso, pronto a perdonare ogni nostro peccato, pronto a condonare anche il debito più grande che si possa immaginare. Dio offre a ciascuno di noi l’opportunità di entrare nel suo Regno, perché non c’è peccato, che si possa consumare o che si possa anche soltanto immaginare, che Lui non possa perdonare. Perché la sconfinata vastità dell’amore di Dio è più forte della peggiore delle colpe. Nulla potrà mai impedire al Signore di amarci. E, se solo vorremo accettare il suo perdono, accada questo alla fine dei nostri giorni, oppure nel corso della nostra vita, allora sì, che saremo pronti per entrare con Lui in Paradiso! E, nel momento della nostra conversione, le campane suoneranno a festa anche per noi. Perché “vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione” (cfr. Luca 15,7).

Mentre noi siamo quel servo, così bravo ad implorare perdono, ma… non sempre altrettanto capace di perdonare a sua volta: “Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Matteo 6,12). E’ una preghiera che tutti noi sappiamo a memoria e recitiamo ogni giorno. I debiti, amici cari, sono i nostri peccati e, i nostri debitori, sono quelli a cui anche noi dobbiamo perdonare qualcosa.

Ciascuno di noi potrebbe essere quel servo della parabola che deve saldare un debito così grande che sarebbe impossibile umanamente poter saldare. E, la sproporzione di questa parabola, tra i diecimila talenti ed i cento denari, ci offre un’idea di quanto sia enormemente grande il cuore di Dio in confronto alla piccolezza del nostro.

Ebbene, amici, ve lo confesso. Il mio cuore è piccolo. Io fatico molto a perdonare alcuni dei torti che ho ricevuto. Taluni penso che siano troppo grandi per poter essere cancellati.

Di fronte ai tanti drammi che segnano l’umanità è difficile fare questa scelta: come si può amare un assassino, o peggio ancora chi ha commesso una strage, o chi “non fa” qualcosa di indispensabile, come il non prendersi cura di una persona ammalata, o il non prendere precauzioni perché un ponte non possa cadere, un edificio crollare… e così via. Come si possono amare le persone che cercano solo il loro interesse? Per quanto ci impegniamo quasi mai (oserei dire mai) ci riusciamo. Eppure Gesù ce lo chiede. Ma, prima ancora di chiedercelo, lo ha fatto Egli stesso: tradito, abbandonato, sbeffeggiato, torturato, Gesù disse dalla croce: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (cfr. Luca 23, 34). Scrive Sant’Agostino: “Quando dunque egli pregava dalla croce, vedeva e prevedeva; vedeva tutti i suoi nemici, ma prevedeva che molti di essi sarebbero diventati suoi amici, e perciò pregava per loro il perdono. Essi infierivano, ed egli pregava. Essi dicevano a Pilato: Crocifiggilo! ed egli supplicava: Padre, perdonali. Pur trafitto crudamente dai chiodi, egli non perdeva la sua dolcezza”.

L’amore di Gesù non conosce confini, la misura di Gesù è l’amore senza misura. Lui ci ha amati fino alla fine: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Giovanni 15,13). Dio sa che il male si vince solo col bene. Ci ha salvati così: non con la spada, ma con la croce.

Perché amare e perdonare è vivere da vincitori. Il Signore ripeterebbe anche a noi le parole che disse a Pietro nel Getsemani: «Rimetti la spada nel fodero» (Gv 18,11). La “ricetta”, amici cari, è vedere gli altri non come ostacoli e complicazioni, ma come fratelli e sorelle da amare.

E’ difficile, lo so. Ma ricordiamo sempre, amici, che laddove non arriviamo noi, con la nostra piccolezza, può arrivare Lui. Laddove noi non siamo capaci di amare a sufficienza, Dio può “mettere di tasca sua” quell’amore che ci manca ed azzerare il nostro debito sul libro della vita. Un Dio che ci perdona e ci ama non può non farlo. Non può non sopperire alle nostre mancanze. #Santanotte

Alessandro Ginotta

Il dipinto di oggi è:: “Cristo Risorto in Gloria”, di Guido Reni, 1614, affresco, cupola del Santissimo Sacramento, Duomo di Ravenna

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