Perché Gesù è la Parola incarnata, quella che ci nutre e dura per sempre. Non è cibo terreno, che, una volta digerito, perde ogni effetto e permette alla fame di tornare. Vuole scuoterci, questo Gesù, dall’apatia spirituale che ci impedisce di renderci conto dei tanti piccoli miracoli che accadono, ogni giorno, nella nostra vita. Vuole aprirci gli occhi su quell’infinito di cui abbiamo fame, ma… tutti presi dalle preoccupazioni di questo mondo, confondiamo questo bisogno, invero un po’ difficile da capire, con quella sensazione atavica e materiale della fame del cibo terreno.
Il mio in(solito) commento a:
Non Mosè, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo (Giovanni 6,30-35)
Oggi ti riporterò sulle sponde del lago di Tiberiade. Uno specchio d’acqua dolce circondato da una vegetazione lussureggiante. Guardati attorno ed ammira la sconcertante bellezza di questi arbusti fioriti che ondeggiano e frusciano al vento, mostrando le foglie d’argento al sole in un continuo movimento. Un’area fertile che contrasta con il paesaggio lunare del monte, dove le moltitudini avevano banchettato con i pani ed i pesci moltiplicati da Gesù. Lassù abbondanza di cibo, qui, nella folta vegetazione, fame di Dio. La fame proprio di quelle masse che sono scese dal monte per cercare il Messia.
Accecati dalla fame, non riescono a vedere Gesù, anche se lo hanno lì, davanti ai loro occhi: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai?» (v. 30). Interrogano Gesù e gli chiedono di compiere dei segni. Eppure hanno ancora le pance piene del pane moltiplicato dal Figlio di Dio. Qualcuno di loro, scendendo lungo le sponde del lago, forse avrà perfino visto Gesù camminare sulle acque in quella notte. Sono stati testimoni di eventi eclatanti, guarigioni inaspettate, fenomeni inattesi. Eppure ancora chiedono un segno. Sono affamati di trascendenza, ma le loro menti sono imprigionate nell’immanenza.
E sono impertinenti. Forti della loro discendenza da Mosè chiedono, ancora una volta, del cibo al Figlio di Dio: “Mosè diede da mangiare la manna dal cielo ai nostri antenati. Tu che ci darai?”. Ma la risposta di Gesù è netta: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. 33Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (v. 34). Eh sì, amici cari, anche noi, qualche volta, commettiamo l’errore di queste folle: ci rivolgiamo a Dio nella preghiera con richieste di beni materiali. Mentre Lui ci invita a spostare la nostra attenzione alle “cose di lassù” (cfr. Gv 6,27).
Perché Gesù è la Parola incarnata, quella che ci nutre e dura per sempre. Non è cibo terreno, che, una volta digerito, perde ogni effetto e permette alla fame di tornare. Vuole scuoterci, questo Gesù, dall’apatia spirituale che ci impedisce di renderci conto dei tanti piccoli miracoli che accadono, ogni giorno, nella nostra vita. Vuole aprirci gli occhi su quell’infinito di cui abbiamo fame, ma… tutti presi dalle preoccupazioni di questo mondo, confondiamo questo bisogno, invero un po’ difficile da capire, con quella sensazione atavica e materiale della fame del cibo terreno. #Santanotte
Alessandro Ginotta
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