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Poveri, storpi, zoppi e ciechi

Poveri, storpi, zoppi e ciechi

“Poveri, storpi, zoppi, ciechi”… Un titolo che letto oggi potrebbe sembrare poco “politicamente corretto”, ma le parole che vengono riportate si riferiscono ad un brano di Vangelo. Ai tempi di Gesù il termine “storpio” non aveva valenza negativa, semplicemente era l’unico esistente per indicare una persona gravemente impedita nell’utilizzo degli arti. Poi nacquero le alternative edulcorate come: disabile o portatore di handicap. Un linguaggio decisamente più rispettoso delle diversità.

Il mio in(solito) commento a:
Non invitare i tuoi amici, ma poveri, storpi, zoppi e ciechi (Luca 14,12-14)

Certo l’attenzione, se si limita al linguaggio, non basta! Bisogna essere accoglienti ed inclusivi non solo a parole, ma con i fatti! Occorre evitare un certo “pietismo da tastiera” che favorisce l’adozione di una terminologia “attenuata” ma che in realtà nasconde la tentazione di allontanare, oltre che dalla nostra vista, addirittura dall’immaginazione i problemi di chi soffre. Dobbiamo sempre tener presente che prima viene la persona, poi la sua disabilità.

Dunque che cosa ci dice Gesù in questi versetti? «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti» (vv. 12-14). Un discorso molto semplice, che richiama il concetto di “Chiesa in uscita”. È facile invitare chi ci piace, le persone con le quali abbiamo un rapporto di amicizia collaudato. Certo, insieme a loro staremo “bene”, ma non faremo del “bene”. Gesù ci spinge invece ad essere coraggiosi, ad andare alla scoperta di nuove relazioni e nuovi contatti, a sperimentare la ricchezza (sì la ricchezza!) di un incontro con il povero, con l’ultimo, con gli esclusi, gli emarginati, gli sconfitti dalla vita, con quanti sono scartati dalla società e dalla prepotenza dei più forti. Perché, attenzione: è lì che si cela la vera ricchezza nelle relazioni. Scrive Papa Francesco: “Lì si impara. Se noi non siamo capaci di guardare negli occhi i poveri, di guardarli negli occhi, di toccarli con un abbraccio, con la mano, non faremo nulla. È con i loro occhi che occorre guardare la realtà, perché guardando gli occhi dei poveri guardiamo la realtà in un modo differente da quello che viene nella nostra mentalità. La storia non si guarda dalla prospettiva dei vincenti, che la fanno apparire bella e perfetta, ma dalla prospettiva dei poveri, perché è la prospettiva di Gesù. Sono i poveri che mettono il dito nella piaga delle nostre contraddizioni e inquietano la nostra coscienza in modo salutare, invitandoci al cambiamento. E quando il nostro cuore, la nostra coscienza, guardando il povero, i poveri, non si inquieta, fermatevi…, dovremmo fermarci: qualcosa non funziona” (Discorso nel 50° dalla fondazione della Caritas).

Ci chiediamo perché Dio, che poteva restare a godersi le sue comodità nei cieli, abbia deciso di scendere sulla terra. Di incarnarsi e vivere un’esistenza difficile. Una vita in mezzo agli ultimi, nascendo in una mangiatoia, al freddo ed al gelo. Rischiando ripetutamente la propria vita, fino a perderla per noi. Un Dio che fa questo per amore, non può non amare le proprie creature. E così Gesù si è fatto carne per camminare in mezzo a noi. Si è fatto uomo per vivere in mezzo a noi. Per salvarci. Per guarirci. Per liberarci dal male. Per portarci a vivere insieme a Lui. 

No. Gesù non è sceso sulla terra per dare una pacca sulle spalle ai migliori, ma per restare più vicino a chi ne ha bisogno, a chi soffre e si lamenta, a chi cerca luce lontano da Lui. Questo il buon esempio da seguire, non rincorrere la società liquida (e vuota) del mondo di oggi. #Santanotte

Alessandro Ginotta

Il dipinto di oggi è: “Ecce Homo”, di Juan de Juanes, 1570, olio su tavola, 83×62 cm, Museo del Prado, Madrid

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