Dall’amore nacque la vita, dall’odio la morte. Le conseguenze del peccato originale sono drammatiche, tuttavia Dio non ci ha abbandonato e neppure abbandona l’idea di restituirci la vita eterna
Il mio in(solito) commento a:
Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto (Giovanni 15,1-8)
C’è una pianta dell’amore che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese. E’ l’albero di Dio. E le sue foglie servono per guarire le nazioni (cfr. Apocalisse 22,2). E’ una pianta irrigata direttamente da un fiume d’acqua viva, limpida come cristallo. Acqua che scaturisce dal trono di Dio e dell’Agnello (cfr. Apocalisse 22,1). E’ una pagina carica di poesia quella che chiude il Libro della Rivelazione, l’ultimo della Bibbia. Si chiude qui la più grande storia d’amore mai esistita: quella tra un Dio innamorato della sua creatura.
L’immagine di questo albero perfetto richiama alla nostra memoria quella dell’albero della vita posto al centro dell’Eden, il Paradiso terrestre: “Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino” (cfr. Genesi 2,9). A non essere perfetto però… era – ed è – l’uomo. Adamo non riuscì a resistere alla tentazione di sostituirsi a Dio: “Il serpente era il più astuto di tutti gli animali dei campi che Dio il SIGNORE aveva fatti. Esso disse alla donna: «Come! Dio vi ha detto di non mangiare da nessun albero del giardino?»” (Genesi 3,1). “Il serpente disse alla donna: «No, non morirete affatto; ma Dio sa che nel giorno che ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male»” (cfr. Genesi 3,4-5).
Non fu un peccato di lussuria! Questa falsa convinzione non è che l’ennesimo inganno di quel serpente che indusse Eva ed Adamo in errore. Il vero peccato di cui Adamo ed Eva si macchiarono fu un atto di superbia: i nostri due antenati pretesero di sostituirsi a Dio arrogandosi la libertà di scegliere autonomamente che cosa fosse bene e che cosa fosse male.
Dio ci ama all’inverosimile e non ci ha voluto negare nulla, neppure questa libertà. Se vogliamo ritenerci (sbagliando) uguali a Dio, abbiamo la possibilità di farlo. Non scenderà dal cielo nessun angelo vendicatore per fermarci. Tuttavia, così facendo, romperemo un patto tra liberi uomini ed il loro libero Dio. Disubbidendo, abbiamo evidenziato la nostra imperfezione: ingannati dal demonio in persona, anziché sottolineare – come credevamo – una volontà forte, abbiamo dimostrato di averne una estremamente debole e facilmente influenzabile. Una volontà fragile che non ci ha permesso di tenere fede all’unica richiesta che ci aveva espressamente fatto Dio: “Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare»” (Genesi 2,16-17). E noi, che abbiamo fatto? Alla prima occasione abbiamo infranto il patto. Pensavamo di essere più “furbi” di Dio, mentre abbiamo fatto la figura degli stolti permettendo al serpente ingannatore di manipolarci!
E quando Adamo ed Eva ruppero la promessa si incrinò il primo patto sancito tra Dio, innamorato delle proprie creature, e l’uomo, che non amava abbastanza colui a cui tutto doveva, perfino la vita. Potevamo avere ogni bene tutto per noi, senza alcuna fatica. Avevamo tutto a portata di mano. Eppure, la mano dei nostri progenitori si mosse per afferrare l’unico oggetto che ci era stato proibito. Da quel momento travagli, povertà, miserie, fame, sete, malattie, guerre ed ogni sorta di peccato entrarono nella storia del genere umano. Una scelta sciagurata che si sarebbe ripercossa su tutta la posterità. Guardate, amici cari, quanto è potente una menzogna, come quella pronunciata dal serpente. Rendiamoci conto di quanto la parola abbia la forza concreta di ferire e, talvolta, perfino di uccidere.
La Genesi ci racconta che l’uomo si allontanò dall’amore di Dio e, come conseguenza, si ruppe l’equilibrio che permetteva alla terra di darci gratuitamente ogni frutto di cui avevamo bisogno. Adamo si dovette ingegnare a coltivare, con il sudore della propria fronte, laddove prima bastava allungare una mano per raccogliere e mangiare a sazietà. Eva dovette sperimentare i dolori del parto e, da quel momento, ad ogni passo rischierà che il suo calcagno venga aggredito da un serpente che striscia nella polvere.
Perché “senza di me non potete far nulla” (v. 5). Senza Dio non siamo niente, ci troviamo nudi ed incapaci di affrontare le difficoltà che si presentano ogni giorno. Dall’amore nacque la vita. Dall’odio venne al mondo la morte. Le conseguenze del peccato originale sono drammatiche, tuttavia Dio non ci ha abbandonato, come non ha mai abbandonato l’idea di riportarci alla vita eterna. Pensate soltanto all’episodio delle due tuniche: quando i nostri progenitori si accorsero di essere nudi (e se ne vergognarono solo dopo aver mangiato il cibo dell’albero proibito), “Il Signore Dio fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì” (Genesi 3,21). Così come Dio mandò sulla terra il proprio Figlio Unigenito per restituirci la vita eterna. La promessa della vita dopo la morte ci riporta così a quella vita con Dio, che passeggiava insieme agli uomini nella brezza del Paradiso terrestre e che ritroveremo quando giungerà l’ultima ora.
E’ perfetto l’albero. E’ perfetto Dio. Ma è imperfetto l’uomo. Ed oggi dobbiamo anche noi, come Adamo, guadagnarci il cibo con il sudore della nostra fronte. Dobbiamo anche noi, come Adamo, faticare per ricostruire quel “ponte” tra Dio e l’uomo che si è interrotto con il Peccato Originale. Dobbiamo sforzarci di essere tralci, e respirare quella linfa che scorre nelle radici di Dio. Dobbiamo faticare per nutrirci con l’acqua viva della Parola di Dio.
Se nel nostro cuore non c’è Gesù, se nelle nostre orecchie non risuona la Sua Parola… siamo come ramoscelli seccati dal sole e portati via dal vento. “Poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano” (v. 6). Un tralcio secco non serve a nulla… i contadini lo gettano nel fuoco. E noi non vogliamo seccare vero? No! Non vogliamo essere potati, ma desideriamo rimanere sempre verdi! Crescere abbondantemente e portare frutto!
In attesa che la Seconda Venuta di Gesù ricomponga definitivamente la frattura di quel patto tra Dio e l’uomo, in attesa che l’imperfetto torni perfetto, dobbiamo faticare. Ci dobbiamo impegnare. Ma abbiamo una certezza: l’equilibrio tornerà, più forte di prima:
«Ecco la dimora di Dio con gli uomini!
Egli dimorerà tra di loro
ed essi saranno suo popolo
ed egli sarà il “Dio-con-loro” (Apocalisse 21,3).
Gesù, il Dio-con-noi, non ha mai smesso di camminare insieme a noi, di manifestarci la sua vicinanza, di essere pronto a sorreggerci non appena vacilliamo. Ma la nostra imperfezione, per ora, ci impedisce di esserne pienamente consapevoli:
E tergerà ogni lacrima dai loro occhi;
non ci sarà più la morte,
né lutto, né lamento, né affanno,
perché le cose di prima sono passate» (Apocalisse 21,4).
#Santanotte amici cari, aggrappiamoci saldamente al tronco della fede, perché la linfa dell’amore di Dio scorra dentro di noi! 🙂 🙂 🙂
Alessandro Ginotta
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