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Come uscire dal deserto della nostra anima?

Per uscire dal deserto della nostra anima
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Lasciamoci idealmente condurre da Mosè fuori dal deserto della nostra anima, chiediamogli di percuotere la dura roccia del nostro cuore e farvi zampillare acqua per dissetare la nostra sete d’infinito. Chiediamogli di offrirci il cibo spirituale dell’amore di Dio, per placare la nostra fame di verità.

Il mio in(solito) commento a:
Vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza (Giovanni 5,31-47)

Povero Mosè; il suo era un compito ben arduo! La storia del lungo viaggio tra l’Egitto e la Terra Promessa è costellata di ribellioni. Sono almeno dieci gli episodi in cui il popolo di Israele si rivoltò contro Dio ed il suo condottiero. Il più noto è senz’altro l’adorazione del vitello d’oro: proprio nel momento in cui Mosè stava ricevendo i Dieci Comandamenti da Dio, gli israeliti impazienti hanno deciso di costruirsi un loro dio…

Non si scandalizziamo troppo, perché capita ancora oggi di “costruirci un dio a nostra misura e piacimento”. Ogni volta che “addomestichiamo” il Vangelo, leggendo solo la parte che più ci fa comodo ed ignorando quella più “scomoda”, oppure quando estrapoliamo una frase dal contesto, utilizzandola per il nostro tornaconto, senza preoccuparci di stravolgerne il significato. Ogni volta che “ci sostituiamo” a Dio, arrogandoci la facoltà di giudicare le persone in nome suo, oppure ci auto-assolviamo per qualche peccato o qualche mancanza. E ci capita addirittura di costruirci un “vitello d’oro”, ogni qual volta che dimentichiamo Dio e ci preoccupiamo soltanto di come guadagnare più denaro. O, più semplicemente, quando ci pare di percepire Dio lontano da noi e, proprio come fecero i contemporanei di Mosè, preferiamo costruircene uno “su misura”. Siamo uomini, proprio come gli schiavi liberati, in fuga dal faraone.

Ma lo stesso Mosè non è quel condottiero severo che tutti immaginiamo. Siamo abituati, nell’immaginario popolare, a ricordarlo come un uomo austero e rigido, detentore delle Tavole della Legge, esigente funzionario di un Dio vendicatore, quale quello che emerge da una lettura superficiale dell’Antico Testamento. Gli stessi farisei che Gesù rimprovera aspramente (“Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere vita” cfr. vv. 39-40) vedono in Mosè soltanto colui che detta Leggi e precetti. Tant’è che, in più parti dello stesso Vangelo, Mosè viene chiamato “La Legge”. Ma costoro e, in qualche misura anche noi, abbiamo dimenticato queste parole di Gesù: “Allora i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti»” (Matteo 22,34-40). Vedete, amici: abbiamo dimenticato l’amore!

L’amore, che sta alla base di ogni Comandamento ed ogni precetto. L’amore, che può, a ragione, essere considerato fondamento di ogni cosa: perché Dio stesso è amore (cfr. 1Giovanni 4,8).

A ben guardare l’Antico Testamento, scopriremo che Mosè non era affatto dispotico ed inflessibile, ma piuttosto un amorevole difensore del suo popolo ribelle davanti a Dio: “Mosè ritornò dal Signore e disse: «Questo popolo ha commesso un grande peccato: si sono fatti un dio d’oro. Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato… E se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto!» (Esodo 31,31-32). Vedete, come si schiera a favore della sua gente?  La sua fede in Dio fa tutt’uno con il senso di paternità che nutre per la sua gente. La Scrittura lo raffigura abitualmente con le mani tese verso l’alto, verso Dio, quasi a far da ponte con la sua stessa persona tra cielo e terra. Perfino nei momenti più difficili, perfino nel giorno in cui il popolo ripudia Dio e lui stesso come guida per farsi un vitello d’oro, Mosè non se la sente di mettere da parte la sua gente. “È il mio popolo. È il tuo popolo. È il mio popolo. Non rinnega Dio né il popolo”. Ecco un vero intercessore per la sua gente, per il suo popolo e per Dio che lo ha chiamato.

Accanto all’immagine di Mosè-condottiero, guida degli israeliti attraverso le acque del Mar Rosso, pensiamo anche al Mosé-uomo, fuggiasco ed omicida, che si spoglia dei privilegi di essere “fratello” del faraone, per difendere la dignità e la libertà della sua gente. Poi, con le mani macchiate di sangue, si rifugia nel deserto per fare pace con se stesso e si scopre prima pastore di greggi e poi pastore di uomini. C’è tanto amore in quest’uomo amato da Dio. Un uomo che, proprio come noi, è imperfetto e tormentato dalle sue vicende umane. Una persona che vive la sua stessa vita come un continuo esodo: esce da sé, dalla sua condizione di alto dignitario di un grande Paese, per salvare il suo popolo: rinuncia al potere per dedicarsi al servizio. Dialoga continuamente con Dio e con la propria coscienza, si fa portavoce di Dio con gli uomini e difensore degli uomini con Dio: “Fammi conoscere la Tua strada, e così ti conoscerò, perché io possa piacerti, e considera che questa gente è il tuo popolo” (Es 33,13).

Ecco Mosè, un uomo ubbidiente, innamorato del suo popolo e, contemporaneamente, di Dio. Un uomo che è stato salvato dalle acque, proprio come noi veniamo salvati dal peccato con l’acqua del Battesimo. Un uomo che ha attraversato il deserto, sia quello geografico, sia quello della sua interiorità, proprio come noi combattiamo ogni giorno con le nostre paure e le nostre difficoltà.

Lasciamoci idealmente condurre da Mosè fuori dal deserto della nostra anima, chiediamogli di percuotere la dura roccia del nostro cuore e farvi zampillare acqua per dissetare la nostra sete d’infinito. Chiediamogli di offrirci il cibo spirituale dell’amore di Dio, per placare la nostra fame di verità.

#Santanotte amici. Dio ci accompagni sulle vie dell’amore e ci perdoni ogni volta che, sentendoci smarriti, ci ribelleremo a Lui. Dio vi e ci benedica amici cari! 🙂 🙂 🙂

Alessandro Ginotta

Il dipinto di oggi è: “La Trasfigurazione” di Giovanni Francesco Penni, 1528, olio su tavola, 402x267cm, Museo del Prado, Madrid

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