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Anche per Cristo è stato duro accettare la Croce

Anche per Cristo è stato duro accettare la Croce

Anche la Chiesa di Torino si prepara ad entrare nel Triduo Pasquale con la Messa in Coena Domini. Stamani, nella Cattedrale di San Giovanni Battista, l’Arcivescovo Mons. Cesare Nosiglia ha celebrato la tradizionale Messa Crismale del Giovedì Santo.

«”A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre…”: l’Apocalisse (cfr. Ap 1,5-6) ricorda che il sacrificio pasquale di Cristo è la fonte della liberazione dal peccato e la radice del sacerdozio del nuovo popolo di Dio. Esso è anche la fonte e la radice del sacerdozio ministeriale, che trova nell’Eucaristia la sua ragione di essere e di agire in persona Christi. “Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà”, prosegue il testo dell’Apocalisse.

Il sacrificio di Cristo comprende la sua glorificazione. Senza di essa, sarebbe incompleto, non sarebbe un sacrificio perché non avrebbe reso sacra l’offerta del corpo del Signore e non avrebbe fondato la nuova ed eterna alleanza nel suo sangue, che è la comunione perfetta con il Padre. Così, Cristo ha realizzato ciò che l’antico sacerdozio non era mai riuscito ad ottenere, ha messo la sua natura umana in rapporto perfetto e definitivo con l’intimità di Dio in cielo. Il corpo glorificato del Signore è quindi la via per entrare nell’intimità con Dio.

Nella celebrazione dell’Eucaristia si fa memoria sacramentale – e dunque efficace qui e ora – del sacrificio pasquale del Signore, realizzando così la possibilità per la Chiesa e per ogni credente di entrare in comunione con Dio grazie al sangue di Cristo, offerto una volta per sempre sulla croce. E tutto questo mediante il dono d’amore grande e meraviglioso che Cristo ha lasciato proprio alla sua Chiesa: il sacerdozio ministeriale, per il quale noi presbiteri e l’intero popolo di Dio non cesseremo di ringraziare il Signore, chiedendogli di corrispondervi pienamente e fedelmente.

Se guardiamo alla nostra vita e la specchiamo in quella di Cristo, di cui siamo icona e servi, dobbiamo riconoscere che le nostre debolezze e i nostri peccati ci allontanano da quella santità che si esige a chi si accosta al monte del Signore con mani innocenti e cuore puro. Eppure, proprio la nostra debolezza esalta anche la forza che ci viene data da Colui che opera tutto efficacemente, secondo il suo disegno, mediante le nostre mani, la nostra voce, il nostro cuore di Pastori.

Vorrei richiamare due vie fondamentali che in Cristo ci è chiesto di percorrere con cura nel cammino di spiritualità sacerdotale e ministeriale. La prima è la docilità verso Dio, la preghiera di intercessione, il cuore che si eleva verso il Padre per confermare sempre la sua volontà e abbandonarsi con fiducia a lui solo. L’uomo che soffre è tentato di ribellarsi a Dio. Gesù invece, proprio attraverso la sofferenza della croce, impara l’obbedienza dalle cose che patisce, raggiunge la perfezione della fede e offre se stesso al Padre suo.

Questo atteggiamento di docilità connota sempre i tratti dell’agire storico di Gesù, ma raggiunge il suo culmine nella sua Passione e morte. È su questo che siamo chiamati a misurare giorno dopo giorno il nostro ministero di sacerdoti, sottomettendoci al volere di Dio, anche quando tutto ci appare incerto, difficile e faticoso da accettare e da seguire.

Ma è proprio questo il caso in cui più forte appare il paradosso del nostro ministero, che valorizza al massimo i doni dello Spirito che ci sono stati dati, ma esige anche tanta umiltà e obbedienza alla volontà di Dio e al servizio nella Chiesa. Per cui, la realizzazione di se stessi avviene proprio mediante l’arrendevolezza e la docilità nell’uscire da noi stessi e accogliere come positivo ciò che umanamente ci fa soffrire e vorremmo rifiutare.

Anche per Cristo è stato duro accettare la Croce
Anche per Cristo è stato duro accettare la Croce, ma si è fidato del Padre suo e non si è ritirato indietro. Sarà capitato a molti di noi di dover affrontare situazioni di tragedie familiari dolorosissime e sentire quanto le parole servono a poco per consolare: solo i gesti, i comportamenti, la vicinanza solidale, la preghiera in particolare, leniscono le ferite e aprono alla fiducia in Dio.

Quest’esperienza vale anche per noi, quando stanchi e sfiduciati vorremmo tirare avanti senza slancio e rinnovamento, accontentandoci di svolgere il nostro dovere, senza testimoniare che la croce è parte positiva e integrante del cammino cristiano e che l’Eucaristia ce la offre ogni giorno.

L’altra via è costituita dall’aprire le mani, il cuore e la vita verso tutti, secondo l’espressione di Gesù: «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). La salvezza operata da Cristo è dunque solidale con l’uomo peccatore, fino a farsi “peccato” per lui: include la liberazione dal peccato e dalla morte, ma anche il “di più” d’amore e di grazia che invade la persona che l’accoglie e il mondo
intero.

Non è solo libertà “da”, ma è libertà “per” essere di più, per amare di più, per vivere di più nella comunione fraterna. È il propter homines che qualifica e fonda il nostro ministero, quel “per voi sono presbitero e vescovo”, di cui parla Sant’Agostino quale titolo di servizio, rispetto al “con voi sono cristiano”, che è titolo di dignità e grazia che tutti ci accomuna.

Sappiamo bene che la Parola di Dio, i sacramenti, la Chiesa sono per tutti gli uomini e soprattutto – come ci ricorda bene il vangelo di oggi – per i poveri… Per cui, anche noi come presbiteri siamo chiamati a partecipare a questa solidarietà sacrificale, propria del sacerdozio di Cristo. Ma in che modo possiamo viverla?

Non si tratta solo di farci tutto a tutti, con quell’atteggiamento di condivisione e di servizio che connota di fatto il ministero presbiterale e di cui la gente riconosce la fecondità. È necessario vivere più in profondità la kenosis, l’umiliazione e l’abbassamento di Cristo crocifisso e risorto, perché solo allora la nostra vita diventerà come la sua, un’oblazione continua, un’eucaristia permanente che produce comunione, riconciliazione, pace.

È la nostra fedeltà alla Croce che produce il massimo frutto per i fedeli. E questo è possibile solo se Cristo vive in noi, così che noi vivremo per lui e saremo in grado di donare la vita per gli altri. La solidarietà di Cristo verso la gente e quella che vive sulla croce nascono dalla sua unione al Padre. Egli la manifesta e realizza concretamente nei suoi gesti di perdono e nella fiducia alla volontà del Padre stesso. Il ministero presbiterale mostra il volto e le mani, il cuore e la vita di Cristo quando esprime la propria profonda unità con il Crocifisso, quando sappiamo stare con lui sulla croce : allora diventa una via di solidarietà con l’uomo peccatore e compie pienamente la nostra missione.

Termino con un pensiero riconoscente e augurale nei confronti del Cardinale Poletto, che quest’anno celebra i 60 anni di ordinazione presbiterale. Ci uniamo alla sua preghiera di ringraziamento e preghiamo il Signore che lo assista nella salute e nel ministero sempre fecondo di grazia e di servizio che svolge nella nostra Chiesa e in numerose comunità sacerdotali, religiose e laicali della Chiesa in Italia. Un pensiero affettuoso lo rivolgiamo ai nostri confratelli anziani, che celebrano i loro anniversari di ordinazione, e a quanti sono purtroppo malati e in condizioni precarie di salute. Infine, rivolgo il nostro grazie ai sacerdoti fidei donum, nostri confratelli che stanno svolgendo un’azione intensa e ricca di frutti ecclesiali e pastorali in varie diocesi del mondo.

A Cristo Signore, Pastore dei pastori, eleviamo il nostro grazie in questo giorno santo e facciamo viva memoria della nostra ordinazione presbiterale confermando e rinnovando le promesse, il nostro “sì” di fedeltà a lui e alla Chiesa».

Anche per Cristo è stato duro accettare la Croce

Questa sera alle ore 18.00 Mons. Nosiglia presiederà, in Cattedrale, la S. Messa in Coena Domini.

Venerdì, alle ore 18, in Cattedrale, la celebrazione De Passione Domini. Sempre venerdì, alle ore 21.00 guiderà la Via Crucis cittadina. Verranno presentate le testimonianze di un disoccupato, un’immigrata, un volontario del Cottolengo ed un senza fissa dimora. La celebrazione si chiuderà con la preghiera copta finale, in comunione con la comunità copta di Torino. La Via Crucis partirà dal Santuario della Consolata, ci sarà una prima stazione in Piazza Savoia, una seconda presso la Chiesa S. Dalmazzo, la terza di fronte alla Chiesa Santi Martiri, la quarta alla Chiesa della SS. Trinità. La quinta ed ultima stazione sarà sul Sagrato del Duomo di Torino. La conclusione è prevista per le ore 22.30 circa.

Sabato 15 aprile, alle ore 21.00 in Cattedrale,  l’Arcivescovo presiederà la solenne Veglia Pasquale, culmine dell’Anno Liturgico. In questa occasione 45 nuovi cristiani riceveranno i Sacramenti dell’Iniziazione:  Battesimo, Cresima, Eucaristia. Tra di loro 18 italiani e 27 stranieri.

Alessandro Ginotta

 


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