Dal Vangelo di Matteo, capitolo 17, versetto 21 è scomparsa una parola importante: il digiuno! Chi ha ancora in casa una Bibbia di almeno 44 anni fa, vi potrà leggere: “Questa razza di demoni non si scaccia se non con la preghiera con il digiuno”; nelle versioni più recenti la frase termina con “preghiera” (come riporta il parallelo di Marco 9,29). Che cosa è successo? Scopriamolo insieme!
Il mio in(solito) commento a:
Quando lo sposo sarà loro tolto, allora digiuneranno (Mt 9,14-15)
A darne notizia è padre Alberto Maggi: “fu un copista, un monaco forse, che verso i primi secoli del cristianesimo, nel IV? che all’espressione «questa specie non si scaccia se non con la preghiera», ha aggiunto: «e con il digiuno»”.
868 d.C., è questo l’anno in cui per la prima volta venne utilizzata la xilografia per stampare i libri: il testo di una intera pagina veniva inciso su una tavola di legno che poi inchiostrata, veniva pressata sul foglio di carta. A rivoluzionare il processo di stampa rendendolo molto più veloce ed economico fu Johannes Guthemberg, l’inventore dei caratteri mobili. Li collaudò nel 1455 proprio per stampare 180 copie della Bibbia: il primo libro che sia mai stato stampato con una tecnica moderna. Ma prima dell’868 d.C. tutte le copie dei libri venivano fatte a mano ed il lavoro, che richiedeva tempo, pazienza ed esperienza, veniva affidato agli amanuensi (se hai letto “Il nome della Rosa” di Umberto Eco non puoi non ricordarlo). Ebbene, uno di questi copisti, intorno al 300 d.C. decise di personalizzare la propria copia del testo aggiungendo il digiuno alla preghiera e, da allora, questa versione si diffuse in tutto il mondo. Da indagini recenti è emerso che le copie manoscritte del Vangelo di San Matteo anteriori al 300 d.C. non riportano la parola “digiuno” (analogamente al testo di San Marco). Dal 1979, anno di pubblicazione della Nuova Vulgata, la traduzione della Bibbia in lingua latina considerata ufficiale dalla Chiesa cattolica, il versetto viene omesso o riportato tra parentesi con una nota che avvisa che non appartiene al testo originale.
Ma allora dobbiamo digiunare o no? Digiunare o mangiare con moderazione in tempo di Quaresima non ci farà certo male se siamo in buona salute. E sarà un buon modo per ricordare i quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto, dopo il Battesimo nel Giordano, prima di iniziare il suo ministero pubblico. Ma anche i quaranta giorni e le quaranta notti di pioggia del diluvio universale, i quaranta giorni passati da Mosè sul monte Sinai, i quaranta giorni che impiegarono gli esploratori ebrei per la ricognizione della terra in cui sarebbero entrati, i quaranta giorni di cammino del profeta Elia per giungere al monte Oreb, i quaranta giorni di tempo che, nella predicazione di Giona, Dio dà a Ninive prima di distruggerla e, non ultimi, i quarant’anni trascorsi da Israele nel deserto. Sono tutti episodi che hanno a che fare con il sacrificio e, in qualche misura con il digiuno. Dunque, non è tutta responsabilità di quel monaco del 300 d.C. se oggi ancora in Quaresima noi cattolici digiuniamo. In fondo il digiuno era un rito di purificazione a cui spesso si ricorreva per rafforzare la preghiera prima di un avvenimento importante. Di questo troviamo numerose tracce nell’Antico Testamento.
Il Vangelo di oggi, che è di soli due versetti, ci aiuta ad orientarci: “Allora gli si avvicinarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno” (vv. 14-15). Lo sposo è Gesù, il Messia tanto atteso, che si è rivelato al popolo come Figlio di Dio. In presenza dello sposo non si digiuna. Perché la presenza di Cristo ci riempie, ci offre una meta, dà un senso alla nostra esistenza che altrimenti sarebbe vuota. Nei quattro Vangeli incontriamo spesso Gesù banchettare (e spesso notiamo che lo fa con peccatori e pubblicani, le pecore smarrite da ricondurre all’ovile). Perché il Vangelo è buona notizia, è gioia, è vita. Il digiuno invece richiama in noi un senso di vuoto, di mancanza, ma anche di penitenza. Il digiuno simboleggia il privarsi di tutto ciò che occupa il posto di Dio e degli atteggiamenti arroganti che distruggono la relazione con Dio e con i fratelli. Dunque, ben venga il digiuno!
In chiusura vorrei ricordare un frammento del discorso di San Giovanni Paolo II ai giovani riuniti in Piazza San Pietro (guarda caso proprio nel marzo del 1979): “Il digiuno è un simbolo, è un segno, è un richiamo serio e stimolante ad accettare o compiere rinunce. Quali rinunce? Rinuncia all’’io’, cioè a tanti capricci o aspirazioni malsane; rinuncia ai propri difetti, alla passione irruente, ai desideri illeciti”. “Digiuno è saper dire “no”, secco e deciso, a quanto viene suggerito o chiesto dall’orgoglio, dall’egoismo, dal vizio, dando ascolto alla propria coscienza, rispettando il bene altrui, mantenendosi fedeli alla santa Legge di Dio. Digiuno significa porre un limite ai tanti desideri, talora buoni, per avere il pieno dominio di sé, per imparare a regolare i propri istinti, per allenare la volontà nel bene”. Digiuno, afferma ancora San Giovanni Paolo II, significa privarsi di qualcosa “per sovvenire alla necessità del fratello, diventando, in tal modo, esercizio di bontà, di carità”. #Santanotte
Alessandro Ginotta
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