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Don Patriciello: strangolati da veleni e camorra, ma non tutto è perduto

Don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano (Napoli), nella terra dei fuochi, è intervenuto giovedì 22 ottobre all’incontro “Testimoni nella custodia della terra – L’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco ci interpella” organizzato dall’Ufficio Missionario Diocesano di Torino, Ufficio per la Pastorale dei Migranti, Istituto Missioni Consolata, Focsiv, e dai settimanali diocesani La Voce del Popolo e Il Nostro Tempo

“Io sono diventato prete in tarda età – si presenta così don Maurizio Patriciello – fino a 28 anni non pensavo affatto al sacerdozio, anzi, mi ero allontanato dalla Chiesa. All’epoca lavoravo in ospedale, prima come infermiere e poi capo reparto”.

All’improvviso, come spesso accade quando interviene il Signore, don Maurizio fa un incontro che gli cambia la vita: “un giorno incontrai un francescano, fra Riccardo, al quale diedi un passaggio. Da lì nacque il desiderio di sapere qualcosa in più, così mi iscrissi al primo anno di teologia. L’anno successivo lasciai l’ospedale per entrare in seminario. Niente di preparato, niente di pensato. Nessuno si chiama da solo c’è qualcun altro che chiama e noi siamo chiamati a rispondere. Il Signore ci ha fatti liberi: Beati noi se rispondiamo. Poveri noi se continuiamo per la nostra strada”.

Diventato sacerdote, don Patriciello viene assegnato alla parrocchia di San Paolo Apostolo di Caivano, nel quartiere che, per ironia della sorte, si chiama Parco Verde.

“Non sono ambientalista. – prosegue don Maurizio – Io sono un prete della diocesi di Aversa. La diocesi dei casalesi. Qui negli ultimi anni è successo qualcosa di terribile: tonnellate di monnezza sono state ammassate in questa terra”.

Su una cosa don Maurizio è categorico: “Badate bene che il problema che sta uccidendo l’Italia e il mondo non è rappresentato dalle bucce di banana, non sono le arance… nè i sacchi della spazzatura gettati dal finestrino della macchina, ma sono gli scarti delle industrie, cammuffati insieme all’immondizia della nonna”.

Don Patriciello: strangolati da veleni e camorra, ma non tutto è perduto

Le colpe della Campania

“Perchè la chiamano terra dei fuochi? – chiede don Patriciello – perchè qui si brucia dappertutto. Che si brucia? I rifiuti delle industrie: pellami e tessuti”. In Campania ci sono tantissimi laboratori artigianali che lavorano il cuoio per produrre calzature. “Per ogni chilogrammo di scarpe si crea mezzo chilo di scarto”. Molte industrie lavorano in regime di evasione fiscale e non possono smaltire regolarmente i residui. L’unico modo che trovano per disfarsene è bruciarli.

Ma non tutti i veleni della Terra dei fuochi arrivano dalla Campania…

Le colpe delle vostre regioni

“A Savona… dove sta Savona? Tra la Campania e la Sicilia? – domanda ironico don Maurizio Patriciello – in provincia di Savona c’è Cengio. A Cengio c’era l’Acna. Tonnellate e tonnellate di fanghi provenienti dalle bonifiche dell’Acna sono state sversate nella Terra dei fuochi”.

Un dossier di Legambiente riporta dati impressionanti. Dal 1991 al 2013 sono state censite ben 82 inchieste per traffico di rifiuti che hanno incanalato veleni da ogni parte d’Italia per seppellirli direttamente nelle discariche legali e illegali della Terra dei Fuochi, gestite della criminalità organizzata casertana e napoletana; inchieste concluse con 915 ordinanze di custodia cautelare, 1.806 denunce, coinvolgendo ben 443 aziende: la stragrande maggioranza di queste ultime con sede sociale al centro e al nord Italia.

“La camorra ha fatto la sua parte”  ammette sconsolato don Maurizio Patricello che racconta il suo incontro personale con un noto esponente della malavita campana, ora deceduto: “con i rifiuti tossici si guadagna il doppio che con droga e pizzo e… non si rischia niente”.  “Già, perchè – spiega don Maurizio – i reati ambientali fino a maggio di quest’anno, erano solo contravvenzionali”.

Riferendosi agli industriali corrotti don Patriciello ha commentato: “la Terra dei fuochi è il frutto di un abbraccio maledetto tra la camorra nostrana e questi disonesti più camorristi dei camorristi”.

Don Patriciello: strangolati da veleni e camorra, ma non tutto è perduto

Il parroco di Caivano ricorda così il momento in cui si è reso conto del problema: “stavo celebrando un funerale, una ragazza, 21 anni; poco tempo dopo un giovane; poi un altro.  L’ultima mamma è morta l’altro giorno, aveva 37 anni, si chiamava Angela”. Troppi i morti per leucemia: “Una grande schiera di bambini, adolescenti, giovani genitori che abbiamo visto soffrire e morire senza poterli aiutare”.

“Una notte di giugno 2012 è arrivato un fetore nelle nostre case e ci ha svegliati alle tre del mattino. Mi sono ritrovato in mezzo alla stanza da letto con una rabbia immensa. Che peccato abbiamo commesso? Ho guardato la Croce ed ho avvertito la certezza morale che il Signore stava chiamando me. Ho acceso il computer ed ho cominciato a scrivere. Nel giro di due ore sono arrivate centinaia di testimonianze”.

Ma non tutto è perduto

Don Patriciello riassume il suo intervento con queste parole di Papa Francesco: “La società, attraverso organismi non governativi e associazioni intermedie, deve obbligare i governi a sviluppare normative, procedure e controlli più rigorosi. Se i cittadini non controllano il potere politico – nazionale, regionale e municipale – neppure è possibile un contrasto dei danni ambientali. D’altra parte, le legislazioni municipali possono essere più efficaci se ci sono accordi tra popolazioni vicine per sostenere le medesime politiche ambientali”. (Laudato si’, 179)

“Nessuno – commenta don Maurizio – può togliere i veleni dalla propria terra e portarli in un’altra zona, con la complicità di uno stato che sonnecchia e di una camorra che non dorme mai”.

Eppure, non tutto è perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi, al di là di qualsiasi condizionamento psicologico e sociale che venga loro imposto. Sono capaci di guardare a sé stessi con onestà, di far emergere il proprio disgusto e di intraprendere nuove strade verso la vera libertà. Non esistono sistemi che annullino completamente l’apertura al bene, alla verità e alla bellezza, né la capacità di reagire, che Dio continua ad incoraggiare dal profondo dei nostri cuori. Ad ogni persona di questo mondo chiedo di non dimenticare questa sua dignità che nessuno ha diritto di toglierle. (Laudato sì, 205)

Di Alessandro Ginotta

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