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Chi è il mio prossimo?

Chi è il mio prossimo?

Parliamo sempre genericamente del “prossimo”, ma chi è il mio prossimo? A questa domanda risponderà direttamente Gesù, con questa parabola ambientata lungo la strada che porta a Gerico. Un luogo che è una autentica fucina di miracoli. Ci sarà da sorprendersi!

Il mio in(solito) commento a:
Chi è il mio prossimo? (Luca 10,25-37)

A volte ad un luogo è legata una storia speciale. Non sappiamo bene perché, ma certo, la strada che porta a Gerico, non è come tutte le altre. Qui, nei secoli, si sono succeduti fatti rilevanti che troviamo in molti passi della Bibbia: a Gerico Zaccheo incontrò Gesù, un’occasione che gli trasformò la vita (cfr. Luca 19,1-10). A Gerico Gesù guarì Bartimeo dalla cecità (Marco 10,46-53), ma anche altri due ciechi (Matteo 20,29-34). E, sfogliando a ritroso le pagine della Bibbia, torneremo più volte in questi luoghi. Fu proprio la vallata di Gerico che Dio mostrò a Mosè, poco prima della morte del profeta, indicandogli dove fosse la terra promessa (cfr. Deuteronomio 34,1). Gerico fu anche la città le cui mura, apparentemente impenetrabili, crollarono al suono di semplici trombe (cfr. Giosuè 6,1-21). E ancora molti eventi narrati nel libro dei Giudici, nel secondo libro delle Cronache e in quello di Geremia.

E poi c’è la storia di oggi: la parabola del buon samaritano. Un uomo che viene da lontano. Una persona che addirittura professa un’altra fede (i samaritani adoravano dei pagani), ma che, messo a confronto con un sacerdote ed un levita, dimostrerà di conoscere meglio di tutti l’amore che viene da Dio. E di saperlo mettere in pratica. Dando una lezione a tutti noi.

Partiamo dall’inizio. Un dottore della Legge mette alla prova Gesù con questa domanda: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» (v. 25). Gesù gli chiede di dare lui stesso la risposta, e quello la dà perfettamente: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso» (v. 27). Gesù allora conclude: «Fa’ questo e vivrai» (v. 28).

Poi arriva la domanda che diventerà la chiave di tutto: «Chi è mio prossimo?» (v. 29). Probabilmente quel dottore della Legge stava pensando: “Con chi vale la pena di spendersi? Con i miei parenti? Con i miei connazionali? Con chi condivide la mia fede?…”. Insomma, vuole una regola chiara che gli permetta di classificare gli altri in “prossimo” e “non-prossimo”, per capire quando mettersi in gioco e quando, invece, potersi risparmiare senza incorrere in un rimprovero divino.

A quella domanda Gesù risponderà con questa splendida parabola, che mette in scena un sacerdote, un levita e un samaritano. I primi due sono figure legate al culto del tempio; il terzo è uno straniero, pagano e impuro. Sulla strada da Gerusalemme a Gerico, queste tre persone si imbattono in un uomo ferito. E’ stato aggredito e rapinato dai briganti. Il sacerdote ed il levita, scorgendo l’uomo a terra, si volteranno dall’altra parte e proseguiranno il loro cammino senza fermarsi. Sarà il samaritano, invece, a soccorrere il malcapitato e prendersi cura di lui, medicandolo e trasportandolo in un albergo dove, dopo aver pagato in anticipo l’albergatore, si potrà riprendere.

La parabola ci interroga. Ci stupisce il fatto che sacerdote e levita, che dovrebbero essere più vicini a Dio di un pagano, decidano di abbandonare il ferito sul ciglio della strada senza curarsene. In molti vi leggono una esplicita critica alle autorità religiose del tempo. Ed in parte è vero. Ma sacerdote e levita hanno una (piccola) scusante. Entrambi prendono troppo alla lettera quei “precetti” scritti dall’uomo, che pretendono di spiegare la Legge di Dio. Cavilli escogitati proprio da sacerdoti e dottori della legge, per tentare di codificare tutte le possibili situazioni in cui gli uomini si potevano trovare ed offrire una regola precisa da seguire. Ma, regola dopo regola, venne fuori un mostruoso insieme di dettami che, anziché avvicinare l’uomo a Dio, lo allontanavano: «Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini» (cfr. Mc 7,1-13). Pensiamo, ad esempio, alla proibizione di curare gli ammalati in giorno di sabato: «È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?» (cfr. Mc 3,4). O addirittura al divieto di raccogliere qualche spiga in un campo di grano per sfamarsi: «Non avete mai letto che cosa fece Davide quando si trovò nel bisogno ed ebbe fame, lui e i suoi compagni?» (cfr. Mc 2,25).

Sacerdote e levita temono, toccando il sangue che sgorga dalle ferite del moribondo, di contaminarsi, di perdere purezza. Ecco il danno di una norma troppo rigida che mal interpreta il volere di Dio! Così entrambi, anziché mostrarsi fedeli a Dio aiutando il malcapitato, lo abbandoneranno lungo la strada compiendo il peggiore dei peccati: mancare d’amore!

Gesù viene e fa pulizia di questi vecchi precetti, inutili e dannosi. I vecchi precetti, la rigidità di riti e preghiere con parole (vuote e ripetute), i sacrifici, con Gesù non hanno più senso. Tutte queste cose rappresentano il vino vecchio che ormai si conserva in otri sgualciti. Gli otri nuovi, invece, sono pieni della Parola di Gesù, quella che trasforma le mille regole dei farisei in parole semplici, che profumano d’amore: “ama Dio e ama il prossimo tuo”.

D’un tratto la complessità delle antiche leggi diventa una semplicità spumeggiante. Così, a scribi e farisei, non resta che fare leva sull’abitudine, sull’inerzia al cambiamento innata in quella parte di popolazione che continua a preferire il vino vecchio. Persone che sono rimaste schiave della Legge, senza lasciarsi toccare dalla gioia di un Vangelo che rende liberi.

Questo Dio che ci ama oltre ogni ragione, desidera una cosa sola: salvarci. “La volontà del Padre che mi ha mandato è questa: che io non perda nessuno di quelli che mi ha dato, ma li risusciti nell’ultimo giorno” (Giovanni 6,39). Sono chiare le parole di Gesù: il Padre cerca la nostra salvezza e desidera donarci la Vita Eterna. E quale moneta ci comprerà il Paradiso? L’Amore! Sì amici, per mezzo dell’Amore, anche noi risorgeremo.

L’Amore inarrestabile, incontenibile, incondizionato che Dio prova nei nostri confronti fa sì che chiunque abbia la possibilità di salvarsi. Dio, infatti, ci ama per primo. Egli non ci ama perché in noi c’è qualche ragione che susciti il suo Amore, ma lo fa perché Egli stesso è Amore, e l’Amore tende per sua natura a diffondersi, a donarsi.

Ecco che arriviamo al sorprendente insegnamento della parabola di oggi. Un pagano. Un uomo che pratica un’altra religione, può essere il migliore interprete della legge dell’amore: il primo e più alto di tutti i comandamenti. Il buon samaritano non ha temuto di sporcarsi le mani ed è intervenuto per salvare la vita al viandante aggredito. Ecco il comandamento dell’amore! Ecco l’amore che non guarda a stupide e rigide leggi, ma che si apre al prossimo e, attraverso il prossimo, raggiunge Dio.

#Santanotte amici. Siamo tutti chiamati a percorrere lo stesso cammino del buon samaritano, che è figura di Cristo: Gesù si è chinato su di noi, ha curato le nostre ferite e ci ha salvati, perché anche noi possiamo amarci come Lui ci ha amato!

Alessandro Ginotta

L’illustrazione di oggi è: “Cristo come buon samaritano”, icona ortodossa

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